È indiscutibile che Taylor Sheridan sia il nuovo Re Mida della TV, con un considerevole numero di serie all’attivo di notevole successo, ma anche con la fama di non essere una persona facilissima a causa della sua schiettezza, che gli sarebbe costata i rapporti con gli showrunner di Tulsa King Special Ops: Lioness. E forse persino un Re un po’ capriccioso, considerato come sia stato recentemente insinuato che parte dei cospicui investimenti fatti per Yellowstone siano andati a coprire alcune sue spese personali. Non sorprende quindi che, quando Sheridan sia stato intervistato da The Hollywood Reporter, i suoi pubblicisti avessero apparentemente paura di ciò che avrebbe potuto dire.

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La lunga intervista all’uomo che una volta Elizabeth Olsen ha definito “una via di mezzo tra un padre e Marlboro Man” è avvenuta nella sua proprietà in Texas, quello stesso Four Sixes (o 6666) che è alla base dello spinoff di Yellowstone e che dovrebbe arrivare sul piccolo schermo nel 2024, un ranch che raggiunge quasi le dimensioni dell’intera Los Angeles, il cui acquisto è stato finalizzato solo l’anno scorso, dopo essere appartenuto per generazioni ad una famiglia che ha fatto di tutto per mantenerlo intatto in 150 anni. Una storia che ricorda molto da vicino quella di Yellowstone e che suggerisce quindi come buona parte del successo di Sheridan, cresciuto in Texas, venga dal fatto che tenda a scrivere di cose che conosce molto bene.

La storia di Taylor Sheridan è il perfetto esempio di “sogno americano“, considerato come, da attore di non grande successo, l’uomo si sia ritrovato, alla sua prima esperienza come autore, ad avere diversi Studios che volevano acquistare il suo primo copione (il pilot di Mayor of Kingstown nel 2011), quando in banca gli erano rimasti appena 800 dollari, per diventare poi nel giro di 10 anni il proprietario di uno dei ranch più noti e riveriti del Texas, nonché uno degli autori TV di maggior successo degli ultimi anni.
la sua fama di uomo che non ama i compromessi è invece nata sin dagli inizi della sua carriera di autore, quando, per la sua mancanza di esperienza come scrittore, gli Studios volevano assumere una writer room di autori esperti per Mayor of Kingstown e lui, convinto di sapere esattamente come la serie dovesse essere scritta, ha preferito metterla in un cassetto piuttosto che venderla.

La volta in cui Robert Redford accettò di interpretare John Dutton

Poi è arrivato il successo con Sicario (2015), Hell or High Water (2016) e Wind River (2017) e lo script di Yellowstone, inizialmente concepito come un film, che Sheridan ricorda di aver proposto agli Studios come “Il Padrino in Montana” e che approdò alla HBO grazie al Presidente della Programmazione Michael Lombardo, che di lui disse di essere convinto che fosse una persona autentica, che scriveva di ciò che conosceva bene, la cui idea di proporre un moderno wester fosse innovativa e diversa dal genere di prodotti prediletti dal network.

Già allora Sheridan vedeva Kevin Costner nel ruolo di John Dutton, ma la HBO gli disse che se fosse riuscito ad ottenere Robert Redford avrebbero dato luce verde al pilot.

E lui lo ottenne. Dopo aver trascorso una giornata con l’acclamato attore a Sundance, Sheridan riuscì davvero a convincerlo ad interpretare il ruolo, ma quando diede la notizia alla HBO, si rimangiarono la parola rispondendogli: “Intendevamo dire un tipo alla Robert Redford, non il vero Robert Redford“.
Nonostante fosse stato immediatamente convocato un meeting di emergenza, al momento della verità, quando il co-creatore di Yellowstone chiese a bruciapelo all’allora Vice Presidente della HBO perché non volessero fare lo show, la risposta fu che era troppo provinciale, che la HBO era all’avanguardia e fare uno show simile sarebbe significato fare un passo indietro. Una bella perdita insomma.

Liberate Yellowstone!

Ma Taylor Sheridan si era già convinto che la HBO non facesse al caso suo quando aveva cominciato a ricevere diverse critiche per il modo in cui era sviluppato il personaggio di Beth Dutton (Kelly Reilly), definito “feroce” e che – gli fu detto – non sarebbe piaciuto alle donne. Quella fu la fine della sua relazione con la HBO, ma avrebbe potuto essere anche quella di Yellowstone, perché normalmente il network continua a detenere i diritti anche degli show che respinge, per evitare che diventino un successo per qualcun altro.

La liberazione di Yellowstone si deve quindi a Michael Lombardo, che prima di lasciare il suo ruolo nel 2016, gli restituì il diritto di usare la serie. In quanto all’innominato Vice Presidente della HBO che affondò lo show, Sheridan, che chiaramente deve essere un uomo che non conosce rancore (si fa per scherzare, ovviamente!), ricorda di aver ricevuto una mail di complimenti per il successo dello show, nonché la proposta di scrivere assieme un dramma familiare di cui gli vennero delineate le caratteristiche, proposta a cui ribatté letteralmente con un: “Ottima idea, sembra Yellowstone“. E lì la cosa finì.

L’era Paramount

Quando entrò in gioco la Paramount, Taylor Sheridan disse loro da subito che i costi di produzione di Yellowstone sarebbero stati alti e che non avrebbero avuto alcun controllo creativo sul progetto e nel giro di 2 anni gli ascolti esplosero. Letteralmente. E nessuno riusciva a spiegarsi come un genere definito “morto” potesse avere tanto successo. Solo che Yellowstone non era solo un western moderno. Quella, per citare le parole dell’autore “era solo la ciliegina sulla torta“.
La serie parlava del morente stile di vita americano, dello scontro tra tradizione, rispetto della terra e modernità, ma soprattutto aveva lo scopo di portare soldi in un mondo (reale) che doveva essere davvero salvato: quello dei ranch. E questa missione non stava avendo il successo sperato. Non secondo gli standard di Sheridan.

Quando, nel 2019, andò infatti a bussare alla porta dell’ottantunenne Anne Marion, proprietaria del Four Sixes, ponendole di introdurre il ranch in qualche scena di Yellowstone e farne “il più famoso ranch d’America,” l’anziana signora chiese se il girato avrebbe incluso scene di sesso e lui rispose di sì, aggiungendo che avrebbe voluto mostrare anche come si faceva a masturbare uno stallone (ai fini della riproduzione) e la donna accettò, se le fosse stato concesso di scegliere lo stallone in questione.

Poco tempo dopo Anne Marion morì e Sheridan ricevette la notizia che la tenuta sarebbe stata venduta in pezzi, subendo lo stesso destino che i Dutton stavano cercando di risparmiare al loro ranch nella finzione. Gli offrirono di acquistarlo per 350 milioni di dollari, che lui non aveva. Ma chiese loro due settimane di tempo per dargli una risposta. Per acquistare il suo sogno firmò un nuovo contratto con la Paramount, che si mormora avesse il valore di 200 milioni di dollari, e per recuperare i 150 restanti coinvolse altri investitori. Quindi, questi show tanto amati dal pubblico, scappiatelo, esistono solo perché Taylor Sheridan potesse acquistare il 6666, non c’è altro modo di dirlo. E l’autore stesso non fa mistero della cosa.

Ed è interessante che Sheridan stesso citi Greg Berlanti nell’intervista, perché quando si pensa a lui, è difficile non ricordare la parabola ascendente del produttore. L’autore voleva essere il nuovo Berlanti e creare un universo condiviso di serie TV, un Arrowverse del West. L’idea era quella che lui avrebbe scritto e diretto gli episodi pilota e poi avrebbe lasciato la poltrona a qualche showrunner di suo gradimento. Ovviamente.

Ma le cose non sono andate come avrebbe sperato e gli autori assunti, per esempio, per Tulsa King Lioness non si sono dimostrati all’altezza:
Le mie storie hanno un trama molto semplice trainata dai personaggi e non personaggi trainati da una trama, il contrario rispetto all’attuale modello televisivo,” e quando questi standard non sono stati rispettati, Sheridan è dovuto intervenire perché di accettare un compromesso non se ne parlava per niente, nemmeno se l’ormai ex showrunner di Tulsa King si chiama Terence Winter ed ha firmato successi come The Wolf of Wall Street e Boardwalk Empire.

Quando ho smesso di recitare ho deciso che avrei raccontato le mie storie a modo mio. Punto. Se non vuoi farlo, non c’è problema, restituiscimele ed io troverò un sostituto o magari no, ma non accetterò compromessi. È escluso.”

E quando parla di non accettare compromessi, Taylor Sheridan fa sul serio, specificando di non essere nemmeno disposto a cambiare un copione per andare incontro a problemi di budget, come nel caso in cui decise di distruggere un’intera carovana, in 1883, facendogli attraversare un fiume e filmando la scena in questione. Niente “prima” e “dopo”, ma proprio la scena del vero guado e del disastro che ne segue.

WGA vs. Sheridan

Essendo un perfezionista, Sheridan, che ha scritto di suo pugno Lioness e firma quasi ogni episodio di Yellowstone dopo diversi falliti tentativi di collaborare con altri autori, è convinto che se non si conosce la vita del ranch non si possa scrivere della vita in un ranch e che se non si è fanatici di storia, non sia possibile concepire una serie come 1883. Taylor Sheridan (come Mike White, creatore di White Lotus) è quindi uno di quegli autori che preferisce scrivere i suoi show da solo, il che però finisce con contrastare con il tentativo della WGA (il sindacato degli sceneggiatori tutt’ora in sciopero) di convincere gli Studios ad assumere un numero minimo fisso di autori per scrivere una serie TV.

E Sheridan è irremovibile nel dire che lui non ha problemi con l’idea che gli Studios stacchino un assegno per pagare gli autori, ma che se dovesse confrontarsi con loro su storie che ha già deciso come scrivere, sarebbe un altro paio di maniche. Un gigante “no, no, no“. Lui fa da solo, lo fa rapidamente (riesce a scrivere un episodio in 8/10 ore), non accetta alcuna nota dal network, sa dell’esistenza del ruolo di un coordinatore degli script per Yellowstone, che tuttavia non ha mai incontrato e si nutre dell’esperienza che fa vivendo nel suo ranch, esperienza che riversa nei suoi copioni.

La nascita del franchise di Yellowstone

Nel 2021 è arrivata poi la possibilità di creare il primo spinoff di Yellowstone ed è stato deciso che con 1883 non sarebbe stato commesso lo stesso errore fatto con la serie madre, i cui diritti per lo streaming erano stati venduti a Peacock, ma che il prequel sarebbe andato direttamente su Paramount+. Così, per la fine di quell’anno, Sheridan ha cominciato a scontrarsi per la prima volta con la sua politica del “fai da te“.

Con due episodi di Mayor of Kingstown da girare e 1883 in fase di sviluppo, Sheridan ha quindi proposto alla Paramount di girare per 6, a volte 7 giorni a settimana, di occuparsi lui stesso di portare dei registi per 1883, che avrebbe comunque supervisionato non volendo rinunciare nemmeno a questo ruolo, di usare il più possibile troupe locali, di avere una redazione che lavorasse 24 ore al giorno e di incaricare una struttura che si occupasse degli effetti speciali per cancellare i dettagli moderni. Il tutto rifiutando di sentire storie sul budget.

Questo, secondo Sheridan, sarebbe il motivo per cui vengono usati asset di sua proprietà per girare parte delle sue serie, una sorta di risposta indiretta all’inchiesta del Wall Street Journal (di cui abbiamo parlato nel podcast di cui sopra), che puntava il dito contro Sheridan per le spese ritenute un po’ troppo elevate nei suoi show, buona parte delle quali finirebbero proprio nelle sue tasche, per esempio per l’uso di cavalli di sua proprietà che, però, spiega Sheridan, sono addestrati per stare sui set ed interagire con gli attori e che, a fronte di un budget concesso dal network di 175 mila dollari, ne sarebbero costati “solo” 169 mila. Che sono andati a lui.

In tutto questo daffare a finirci di mezzo è stata la 5^ stagione di Yellowstone, che è stata rimandata prima che scoppiasse il caso Costner.

Nonostante Taylor Sheridan abbia detto di aver cercato di andare incontro alle esigenze dell’attore la situazione sarebbe complicata. Al momento starebbero cercando di trovare un modo di convincerlo a tornare per filmare alcune scene e dare una degna conclusione al suo personaggio con un ma bello grosso. Gli script lasciati incompleti a causa dello sciopero degli sceneggiatori.

Secondo Sheridan, se fosse toccato solo a lui o a Costner, il problema sarebbe stato risolto da tempo, ma con le interferenze del network e soprattutto degli avvocati, i toni si sarebbero alzati. Sheridan concede a Costner di aver accettato con signorilità tutte le critiche che gli sono piovute addosso, cosa che non avrebbe meritato, secondo l’autore, ma si dice anche deluso perché il percorso del suo personaggio ora sarà troncato, non alterato, ma troncato.

Quello che garantisce, comunque, è che il personaggio non sparirà in un “fuck-you car crash“, per dirla in maniera signorile, “un offensivo incidente d’auto“, un’espressione diventata famosa nell’ambiente dopo che Shonda Rhimes decise di uccidere il protagonista maschile di Grey’s Anatomy, Patrick Dempsey, in un incidente d’auto. Considerato che Sheridan, nella sua non brillante carriera di attore ha subito lo stesso trattamento con il personaggio che interpretò in Sons of Anarchy, non farebbe una cosa simile nemmeno al suo peggior nemico.

Qualcuno mormora che in un momento di frustrazione espressa da Costner per la direzione presa dal suo personaggio, Sheridan gli avrebbe risposto di “limitarsi a recitare“, altri dicono che, essendo stato dall’altra parte della barricata come attore, Sheridan sia molto empatico nei loro confronti ed il chiamato in causa nega proprio di aver mai detto nulla di simile, ed asserisce che se c’è mai stato del disaccordo tra lui e Costner è stato sempre risolto senza drammi e che, considerato come l’attore abbia vinto un Golden Globe per il suo ruolo, è probabile che tutti abbiano fatto bene il proprio lavoro.

La Paramount ha annunciato che la seconda parte della 5^ stagione di Yellowstone sarebbe andata in onda a novembre, ma con lo sciopero in atto è difficile che accada, il che potrebbe non essere necessariamente un male, considerato che Sheridan potrebbe decidere di scrivere più dei 6 episodi annunciati. Secondo lui la serie si concluderà con il numero degli episodi di cui ci sarà bisogno e che naturalmente gli sarà concesso.

Almeno per quanto concerne lo Yellowstone dell’era Costner.

Perché poi dovrebbe esserci quello dell’era Matthew McConaughey. Un’era che, secondo quanto accennato da Taylor Sheridan, potrebbe non comprendere alcun Dutton ed avere anche un’altra location: “La mia idea di spinoff è la stessa di prequel” e se avete visto 1883 e 1923 sapete cosa questo possa significare. Sayonara Beth, Rip, Kayce e Jamie. La serie sarebbe comunque solo nella sua fase embrionale e non sarebbe stata presa nessuna decisione definitiva.

Per quanto concerne altri prequel di Yellowstone, Sheridan è un vulcano di idee e crede ci sia spazio per almeno altri 3 o 4 show che, garantisce, costeranno a Paramount una barca di soldi.

Delirio di onnipotenza?

In quanto alle accuse, più o meno dirette, che Taylor Sheridan soffra ormai di un delirio di onnipotenza per tutto ciò che gli viene concesso su un piatto d’argento (in cambio di successi quasi garantiti per i suoi show, va detto), il diretto interessato afferma che lui non crede sia così, ma non esclude che qualcuno lo pensi a causa della sua schiettezza. Poi aggiunge anche che se riesce a parcheggiare 20 milioni di persone davanti alla TV ed a sconfiggere regolarmente Sunday Night Football in termini di ascolti, anche se chiede di lavorare con 4 cineprese e fino a venerdì inoltrato, ci si può stare. Sheridan afferma inoltre di avere una sola regola, nessuno può dirgli di no, ma solo quanto costa e “” e poi lui deciderà da dove prendere quei soldi per ottenere ciò che vuole e conclude dicendo che se questo significa avere un delirio di onnipotenza allora, dopotutto, ce l’ha. Ma soprattutto, e lo dice senza mezzi termini, a Sheridan non frega nulla di ciò che vuole un qualche produttore esecutivo, gli importa della sua troupe, quello sì, ma solo di quello.

Ci sono altre cose a cui Taylor Sheridan tiene oltre alla troupe, come a non creare relazioni affettive controverse nei suoi show, asserendo che le persone meritino di trovare la bellezza da qualche parte, e come l’impatto che hanno i suoi prodotti nella realtà (e non ai premi, di quelli non gli importa, dice).
Wind River, secondo lui, avrebbe per esempio contribuito a far cambiare una legge secondo cui un cittadino americano non era perseguibile nel caso in cui avesse commesso uno stupro all’interno di una riserva indiana, un’affermazione che è stata categoricamente smentita dall’avvocato per i diritti dei Nativi Americani, Mary Kathryn Nagle. L’avvocato ha rilasciato una dichiarazione asserendo senza mezzi termini che Sheridan dovrebbe scusarsi per essersi attribuito il merito per quella legge, screditando così anni di lotta instancabile da parte della comunità dei nativi americani e che l’unica cosa che il suo film ha fatto è stato perpetrare il mito secondo cui l’FBI indaghi su casi di stupro nelle riserve indiane, perché non lo fa affatto.

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