In un’intervista con Vulture, Jessica Lange ha attaccato senza giri di parole l’attuale industria hollywoodiana. L’argomento di conversazione è la tendenza a cancellare film già realizzati, che recentemente ha interessato Batgirl e (probabilmente) Coyote vs. Acme. A tal proposito, l’attrice dichiara:

Dovrebbe esserci una legge che lo vieta. Viviamo in un mondo corporativo e questo si è certamente trasferito nell’industria cinematografica. Gran parte dell’industria oggi non è incentrata sul processo creativo. Ovviamente questo non vale per tutti, ma ci sono molti casi in cui mi sembra che l’impulso artistico sia sopraffatto dalle ragioni del profitto aziendale. Se si guarda ad alcuni dei migliori film dell’ultimo anno, cosa hanno in comune? Non sono americani. Il mio preferito è stato Anatomia di una caduta. Quante volte ci capita di vedere un film del genere, in cui l’ambiguità della situazione presentata non viene mai risolta?

L’attrice poi riflette sulla sua lunga carriera: a partire dagli anni ’80, in parallelo a quella sul grande schermo, l’attrice ha portato avanti l’attività sul piccolo: prima con diversi film TV e poi, negli ultimi anni, con altrettante serie, tra cui American Horror Story. La diretta interessata spiega così la sua scelta:

Non ho mai capito perché dovesse essere l’uno o l’altro [ medium]. Mi sono state proposte alcune cose davvero grandiose per la televisione; che poi siano diventate grandiose è un altro discorso. Ma c’era l’adattamento di Willa Cather, Terra di pionieri, e poi, naturalmente, Un tram che si chiama desiderio, che avrei fatto con qualsiasi medium e in qualsiasi momento. Decidere di fare televisione è stato simile alla mia decisione di fare teatro. Molti attori del cinema non andavano in scena [a teatro] all’epoca. Immagino che qualcuno possa aver detto: “Non dovresti fare televisione”, ma se ho ricevuto quel consiglio, non ci ho mai fatto caso. Nel corso degli anni ho prestato raramente attenzione ai consigli, nel bene e nel male.

Lange racconta allora come nel tempo è cambiata la sua esperienza sul set:

Ricordo che rimanevo ore ad aspettare che il direttore della fotografia azzeccasse l’illuminazione, e ne valeva la pena perché il risultato era spettacolare. Ma le cose sono cambiate. I cameraman non usano più le luci, girano in digitale. Non si guardano i giornalieri. È un gioco diverso. Sono felice di aver avuto l’opportunità, quando ho iniziato, di fare queste esperienze con registi come Sydney Pollack e Costa-Gavras. Devo prendermi a calci ogni volta che penso: “Oddio, non è più bello come una volta”. Perché è come dicono i buddisti: ci sono due certezze nella vita: il cambiamento e la morte. Non si può tornare indietro.

Ecco un’altra cosa: prima del video village, dove il regista è seduto in una piccola stanza separata a guardare i monitor, c’era una sorta di sinergia tra gli attori e i registi. Il regista stava accanto alla macchina da presa e c’era quasi un’alchimia, questa trasformazione di energia tra il regista e l’attore davanti alla macchina da presa mentre recitavi la scena. Tony Richardson stava nello spazio di un piccolo corridoio e, con il suo corpo grande, alto e gracile, ci camminava dentro, quasi come una cicogna, avanti e indietro mentre la scena veniva recitata, osservandola. E si aveva la sensazione che il regista fosse lì con te in ogni momento, quasi come se desiderasse la tua interpretazione. Era un modo bellissimo di lavorare.

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FONTE: Vulture

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