Sam Mendes sostiene di avere messo tutto stesso in Empire of Light, il nuovo film da lui diretto e per la prima volta anche sceneggiato. Promosso come una sorta di “Nuovo cinema paradiso” (o come un’opera che si muove nello stesso terreno intimista di The Fabelmans), il film è però di tutt’altro stampo e il regista ci tiene a sottolinearlo. In una lunga intervista a Deadline ha infatti parlato delle sue ispirazioni molto personali, che accomunano tutti i suoi film (compreso 007), del suo rapporto con la critica e le aspettative del pubblico.

Sam Mendes ha fatto un’ode alla madre

La vicenda personale della vita di sua madre è stata fondamentale per il personaggio di Hilary, interpretata da Olivia Colman in Empire of Light. Il film tratta infatti il tema della depressione sullo sfondo di una storia romantica tra una esercente cinematografico e una maschera molto più giovane di lei di nome Stephen. L’ambientazione è l’Inghilterra del 1980, in una città attraversata da moti di razzismo. La coppia trova un legame stretto proprio in questo contesto, per lui, nero, in cui resistere cercando di mantenere il proprio carattere positivo. Per lei il cinema è invece un modo per provare a guarire dalle sofferenze quotidiane. 

Sam Mendes ha spiegato che c’è una linea di continuità tra il suo precedente lavoro 1917 ed Empire of Light, proprio dai suoi trascorsi famigliari. Il film di guerra era infatti ispirato al passato da soldato di suo nonno. Questa invece è una lettera a sua madre, che ha iniziato a manifestare segni di depressione e disturbo bipolare quando lui era ancora un bambino e le diagnosi erano molto rare. Rapidi cambiamenti nell’umore, ma anche nei vestiti e nel trucco, che il figlio ha imparato a riconoscere col tempo. 

La malattia mentale e la depressione sono state già affrontate in Revolutionary Road e in American Beauty in cui i personaggi di Annette Bening e Allison Janney sono ispirati ai due stati opposti, positivi e negativi, dell’esperienza della madre. Una simbologia che Mendes rivede anche in M. dentro Skyfall. Il motivo è presto detto: “è una figura materna complicata. È la ragione per cui James Bond esiste e anche, letteralmente, il suo peggior nemico in alcuni momenti del film. Ironicamente lei è la persona che ordina la sua morte“.

Una fine che l’agente 007 ha trovato in un altro film, No Time to Die, diretto però da Cary Fukunaga. Mendes confessa un po’ di invidia verso l’ultimo capitolo del franchise che ha fatto trovare a James Bond una morte definitiva. Cosa che lui ha più volte cercato di fare invano. Senza attribuirsi il merito del colpo di scena finale, ha spiegato però di avere più volte spinto verso una soluzione definitiva ai tormenti dell’agente. Ha sempre trovato molta resistenza da parte dello studio. Poter uccidere M. è stato però il primo passaggio importante per un franchise che ha imparato ad invecchiare e morire. 

empire of light

Empire of Light, tra luci e dramma

Tornando a parlare di Empire of Light ha spiegato che il personaggio di Olivia Colman – grazie al suo arco drammatico- è il vero centro del film. Tanto che il regista si è premurato di chiarirlo al pubblico, rilasciando un secondo trailer molto più crudo che ne rispecchia meglio il tono.

Volevo che il pubblico guardasse il film avendo a disposizione il contesto giusto e non quello sbagliato. Non volevo che pensassero di vedere un’opera sulla magia del cinema e, aspettando il pezzo in cui lei guarda i film, si trovassero di fronte agli occhi personaggi che si disintegrano mentalmente. 

Per questo sta parlando alla stampa così in profondità della sua vicenda personale. Le critiche a dir poco tiepide non lo toccano però. Il film è attualmente a un mediocre 45% di recensioni positive su Rotten Tomatoes. Gli importa che il pubblico riesca a connettersi con la storia ma, dice, ha smesso di leggere le critiche.

Il rapporto con le recensioni

Continua Sam Mendes:

Come regista sei abituato a sentirti in primo piano sia delle critiche che dei complimenti. Senti che privilegio sia essere in grado di raccontare un po’ della tua vita come parte di una storia fatta perché le persone la vedano. Ma, onestamente, non leggo più le recensioni.

Ha poi spiegato che, quando dirigeva il teatro Donmar Warehouse a Londra aspettava con ansia i giornali alle due del mattino. Il cuore gli batteva all’impazzata anche quando non si trattava di rappresentazioni da lui curate direttamente, bensì per tutte le produzioni del Donmar. La sopravvivenza del teatro dipendeva molto anche dal gradimento e quindi dai possibili fondi in arrivo. Tutto questo era comprensibile

Le cose cambiarono nel 1998 con Blue Room. Nella pièce recitava Nicole Kidman che, per qualche secondo, si denudava mostrando la schiena al pubblico. I giornali ne parlarono come se l’intero spettacolo fosse recitato senza veli. Il Daily Telegraph lo definì “un viagra teatrale” ed Entertainment Weekly riprodusse la mappa con i posti in sala indicando quelli in cui il pubblico avrebbe potuto vedere qualcosa in più dell’attrice oltre alla schiena. 

In quel momento, amareggiato, smise di leggere le recensioni. La stessa cosa, si premura di dire, valeva anche per i complimenti per American Beauty.

Fonte: Deadline

Classifiche consigliate