Riceviamo e pubblichiamo il commento del nostro lettore Lorenzo Tardella, che si trova alla 74esima edizione del Festival di Venezia


Dentro Casa d’Altri, il docu-corto sul terremoto di Amatrice che Gianni Amelio ha presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, c’è dentro l’alfa e l’omega di tutto il suo cinema.

C’è il regista de La fine del gioco, quello che mette una macchina da presa davanti a un ragazzino perché sa che da quella bocca può uscire più verità di quanto non farebbero pagine e pagine di articoli di giornale; oppure il Gianni Amelio de La tenerezza, quello che chiude il cerchio con gli occhi lucidi di un anziano sperduto in una città fantasma, con le foto dei parenti nella tasca della camicia; ma anche l’autore di “Felice chi è diverso”, che ricerca la quotidianità delle piccole cose, i gesti, gli oggetti, gli ambienti tenuti sullo sfondo.
Si apre con l’infanzia e si chiude con la vecchiaia questo corto circolare, come circolare è il lungo movimento che la macchina da presa compie tra le macerie di Amatrice, accumulate come fossero montagne, avvolte in un silenzio assoluto. Sono quindici minuti di vita, raccontati con una manciata di ritratti di persone che riflettono sul futuro, sperato o soltanto immaginato, di una comunità che vuole e deve resistere di fronte alla tragedia.
Casa d’Altri è un documento che va dritto al punto, immediato, essenziale. Non ha la pretesa né la volontà di insegnare ma preferisce semplicemente raccontare un fatto attraverso i volti di chi lo ha vissuto.
La sintesi perfetta della poetica di un autore che da sempre mette i personaggi prima delle storie, e che riesce nella non facile impresa di restituire il senso profondo di una comunità attraverso il racconto di tante, diverse individualità.

 

SPECIALE FESTIVAL DI VENEZIA

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