Il regista canadese Graham Foy ha debuttato alla regia di un lungometraggio con il film The Maiden, presentato alle Giornate degli autori 2022, in cui si racconta la storia di tre teenager. Una perfetta giornata estiva finisce in tragedia, e così tre adolescenti di periferia instaurano una specie di legame ultraterreno. Colton e Kyle sono grandi amici e rasentano il filo dell’acqua, condividono sogni e dipingono con lo spray la gola del fiume. Anche Whitney esplora quella gola e cerca conforto scrivendo e disegnando sul suo diario. Ma quando è abbandonata dalla sua migliore amica, Whitney scompare. I ragazzi sono circondati da bellezza e meraviglie naturali, eppure l’oscurità e la morte incombono. La scoperta del diario di Whitney ci trasporta in un mondo di specchi. Una gola magica. Un incontro paranormale. E poi il ritorno di un gatto nero morto. È un sogno? È l’aldilà? E una volta che siamo connessi profondamente, possiamo considerarci veramente soli?

Lo sceneggiatore e regista Graham Foy, dopo il cortometraggio August 22 presentato alla Semaine de la Critique di Cannes e al New York Film Festival, con il progetto di The Maiden ha partecipato alla residenza Moulin d’Andé all’interno del programma di sviluppo Next Step di Cannes e, quest’anno, ha ricevuto il premio TRT First Cut + per i work in progress al Festival di Karlovy Vary.

I giovani attori protagonisti sono al loro esordio come attori, escludendo delle piccole esperienze teatrali per alcuni di loro, come hai lavorato con loro per delinearne le interpretazioni?

Ero davvero entusiasta dal fatto che ogni personaggio avesse delle caratteristiche uniche e ognuno degli interpreti era in grado di essere se stesso, non stava fingendo, c’era molta onestà e aveva una propria identità all’esterno del film. Volevo che portassero quelle caratteristiche nelle loro performance, usare la loro autenticità legata a chi sono in realtà e ciò che li rende persone interessanti, usando quegli elementi per portare in vita i personaggi. Abbiamo lavorato in modo molto aperto e li ho guidati in ogni scena. Abbiamo cercato di assicurarci che sapessero e capissero quale era la direzione narrativa di ogni scena, ma ho davvero cercato di dare loro libertà all’interno di quella situazione, parlando di cose che potrebbero essere più vere per loro rispetto a pezzi di dialogo che avevo scritto. Ho voluto inoltre che parlassero in un modo che fosse naturale perché hanno dei fantastici modi personali di parlare, in particolare Jackson che interpreta Kyle e che ha queste fantastiche frasi fatte, quasi degli slogan, e ci siamo assicurati di mantenere quella “magia” nel film.

Quanto tempo avete avuto a disposizione prima dell’inizio del lavoro sul set?

Ci siamo preparati ogni giorno prima dell’inizio delle riprese e abbiamo avuto a disposizione due settimane in cui abbiamo trascorso molto tempo insieme e abbiamo fatto delle prove, ma non è stata una situazione molto tradizionale come esaminare i dialoghi, prevalentemente abbiamo cercato di conoscerci e assicurarci che i ragazzi si sentissero a proprio agio quando erano insieme, soprattutto perché alcuni legami nel film sono davvero importanti.

Hanno dato dei suggerimenti anche per quanto riguarda il look dei loro personaggi, che è così ben definito e unico?

Sì, sono stato piuttosto flessibile su quell’aspetto, su come volevano vestirsi per il film. L’idea è stata di mantenere il realismo e hanno potuto usare dei vestiti che avevano già nel loro guardaroba. Volevo inoltre che fossero davvero comodi, potessero muoversi liberamente nelle scene. Lo zainetto che indossa Hayley è diventato un elemento davvero cruciale ed è stata lei a proporre di usarlo perché le piace. Io e il direttore della fotografia, Kelly Jeffrey, ci siamo immediatamente resi conto che era un’immagine speciale e qualcosa che potevamo quasi usare come se fosse il suo mantello, un elemento in stile supereroe, la rendeva diversa e unica rispetto agli altri ragazzini.

Nel film ci sono molte scene suggestive ambientate di notte e in aree verdi, come hai lavorato su quell’aspetto dal punto di vista della regia?

Una parte importante della sceneggiatura che avevo scritto si svolge di notte, quindi ne abbiamo parlato fin dall’inizio e abbiamo cercato di capire come catturare quell’atmosfera senza avere moltissime risorse, è stata una sfida. Abbiamo deciso di girare tante scene durante l’ora blu, prima che scenda l’oscurità e poi abbiamo girato tante sequenze importanti e dialoghi che erano più difficili e intensi non in quel periodo di tempo davvero limitato, perché l’ora blu dura solo 15-30 minuti, ma di giorno invece che notte, nelle aree verdi dove la vegetazione è fitta e si è potuto ricreare così quell’atmosfera.

In The Maiden ci sono alcuni brani musicali molto importanti, erano già stati scelti mentre sviluppavi lo script?

Il brano di John Hassell, che si sente nel corso dei film, lo avevo inserito fin dall’inizio nella sceneggiatura. Abbiamo cercato di ottenerne i diritti di utilizzo durante le riprese e volevamo realmente assicurarci di ottenere la possibilità di utilizzarlo. Ero davvero entusiasta per le caratteristiche quasi in stile suoni e fischi di un treno, ha dei punti di contatto con quelle sonorità, e al tempo stesso è sognante, tormentato, davvero semplice… Potrebbe sembrare un brano strumentale. Nel modo in cui l’abbiamo usato per me era per segnare questi ricordi, questi momenti nella vita di questi ragazzi che sono davvero importanti, in particolare per quanto riguarda Colton, e l’ho usato nuovamente per creare un ponte tra due mondi.

Una delle scene più importanti riguarda un gatto, che da sempre è anche legato all’idea della possibilità di avere più vite. Si tratta di un elemento scelto per questo aspetto all’interno della narrazione?

Il gatto è realmente emblematico del modo in cui ho immaginato questo aspetto “magico” o “miracoloso” del fatto che ogni giorno possa accadere qualcosa che assume un significato diverso in base a ciò che stai vivendo. Qualcosa di davvero banale può diventare improvvisamente la cosa più profonda che hai mai vissuto. Si può trovare un significato in qualcosa a cui forse in un altro momento non avresti dato importanza. Penso che il gatto fosse un modo per creare un ponte tra questi due mondi e la scena finale offre un’immagine che si riconosce legata all’inizio della storia e improvvisamente c’è questa possibilità legata alla reincarnazione o a una nuova vita, o forse un’altra coincidenza. In più amavo la giustapposizione e il contrasto, il mistero legato al fatto che potrebbe offrire un significato specifico oppure no. E credo che la vita sia misteriosa in quel modo.

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Per scrivere il film ti sei ispirato anche alle tue esperienze personali. Confrontandoti con i membri del cast, che appartengono a un’altra generazione, hai trovato dei punti in comune con la loro vita nonostante l’età diversa?

Ho parlato a lungo con il cast di questo senso di solitudine e alienazione e penso che sia qualcosa di incredibilmente comune attualmente, dopo la pandemia e il COVID, basta pensare a come i ragazzini hanno dovuto frequentare la scuola in varie parti del mondo. Era qualcosa che penso condividiamo tutti e abbiamo provato nella nostra esperienza, in particolare da giovani. La pandemia ha semplicemente enfatizzato questa sensazione. Il film racconta solitudine, il lutto e la sofferenza, ma parla anche di entrare in connessione e di amicizia.

Nel film, oltre i tre protagonisti, appaiono anche altri studenti del liceo. Hai mai pensato di dare più spazio anche ad altri teenager poi, in caso, tagliare le scene nella fase del montaggio, o lo script è rimasto immutato?

Principalmente i personaggi che hanno un ruolo meno centrale nel film sono stati ideati in quel modo, forse Terry aveva un paio di scene in più nella sceneggiatura, ma in generale sono rimasti come li avevo ideati inizialmente. Abbiamo lavorato in 16mm quindi abbiamo dovuto avere una grande disciplina sul set ed essere certi che tutte le scene che volevamo realizzare fossero girate nel migliore dei modi.

Per quale motivo avete preferito girare in 16mm il film?

Io e il direttore della fotografia abbiamo lavorato insieme per alcuni anni e abbiamo girato alcuni cortometraggi in 16mm e 35mm, ci sentiamo davvero a nostro agio a lavorare con quel formato, e inoltre apprezziamo la disciplina che crea sul set perché devi essere davvero certo di quello che girerai. Ma il vero motivo della scelta del formato penso che sia legato alla storia e all’aspetto visivo del film: c’è questa qualità un po’ magica, affascinante, sospesa tra la realtà e il modo in cui vediamo la nostra vita quotidiana e come un profondo desiderio e la solitudine possano creare una visione diversa, un modo differente di considerare la nostra vita e il mondo che ci circonda, come alcuni eventi casuali o comuni possano apparire quasi miracolosi in base alla situazione mentale in cui ci si trova. Il film ha questo tipo di scintilla, ha qualcosa che allontana leggermente lo spettatore da un’immagine davvero definita come quella digitale, volevo avesse quell’aspetto.

Userai questo formato anche in futuro?

Penso di sì, se la storia possa richiederlo. Amo il processo di lavorare con la pellicola, ma deve avere senso dal punto di vista del racconto.

In Canada attualmente la produzione cinematografica e televisiva sembra vivere un momento molto positivo, che opinione hai della situazione?

Posso parlare della questione solo dal punto di vista di un regista canadese che lavora in patria: tutti i finanziamenti che abbiamo ricevuto per girare il film erano fondi pubblici. Siamo stati davvero fortunati nell’ottenere quella cifra e lavoriamo con un budget davvero modesto, ma penso che le première al festival e l’accoglienza della stampa possano aiutare a rendere più semplice avere il sostegno economico per il prossimo film. In Canada penso inoltre ci sia una realtà molto in salute e di ottima qualità, soprattutto a Toronto e a Montreal, e c’è un’eccitante nuova generazione di registi che stanno emergendo da questa nuova ondata di sostegni economici.

Nel tuo futuro ci saranno solo film o stai valutando anche la possibilità di lavorare per la tv?

Penso che mi concentrerò sempre sul cinema e sulla possibilità di girare film, ma sono aperto a ogni esperienza che sia legata a creare qualcosa che abbia un significato visivo, non escludo anche di lavorare nel settore televisivo.

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