La recensione di La Morsure, il film francese in concorso al festival di Locarno

Se non ci fosse il titolo a promettere un bel morso non potremmo mai essere sicuri che questo arrivi. La Morsure è tutto giocato su un’impressione di orrore e non sull’orrore effettivo, sulle immagini dell’orrore e non sui suoi esiti, sul fatto cioè che i personaggi dicono di avere visioni, dicono di poter predire il futuro e dicono di essere vampiri, non sul dimostrare che questo sia vero (o quasi). E va bene così, perché l’impressione di orrore è tutto quello che conta nell’horror. Questa non è una storia di vittime e mostri che le inseguono (anzi) ma una da Tim Burton, in cui la solitudine e i sospiri d’amore si sovrappongono e un’estetica che fonde Argento e l’horror britannico anni ‘70 (recentemente tornate di moda) è usata per una trama dai toni dark, in cui sentirsi diversi dal resto del mondo è un modo per enfatizzare la sensibilità e la sete d’amore non saziata di alcune adolescenti.