La recensione di Leonora addio, il film di Paolo Taviani in concorso alla Berlinale e nelle sale da giovedì 17

Forse davvero non poteva che essere un film funereo il primo di Paolo Taviani da solo, dopo 64 anni di film in coppia con il fratello Vittorio. In Leonora addio la morte è ovunque ed è una questione sia grave che risibile (come non possono fare a meno di ridere le persone che guardano passare le ceneri di Pirandello dopo un’osservazione sciocca di un bambino). La morte è futile e pesante al tempo stesso, è un fatto che scatena problemi e questioni, ma un evento che presta il fianco ad episodi grotteschi come il peregrinare vero delle ceneri di Pirandello, la storia che regge tutto per due terzi del film. La morte è ovunque, nelle scene, nelle inquadrature e nel fantasma di Pirandello rievocato dal materiale di repertorio.

Sarebbe molto ruffiano dire che forse è ovunque anche il fantasma di Vittorio Taviani per quello che in realtà è a tutti gli effetti un film di Paolo Taviani (come già in Una questione privata la regia era solo sua), ma è pure il film stesso a mettere in chiaro la cosa con una grossa dedica al fratello scomparso. Il bianco e nero pesantissimo poi ribadisce un incedere autunnale che sa sempre di presagio fatale, come se si vivesse in un mondo in cui la morte è in ogni angolo e riguarda tutti. Una morte che tocca tutto e copre tutto.

Di certo questo è il miglior cinema firmato Taviani, almeno se si pensa agli ultimi decenni. Non quello di Maraviglioso Boccaccio (leccatissimo e senza davvero niente da dire) ma quello di Cesare deve morire, un cinema a cui interessa piegare le regole del cinema, che fa sperimentazione sulla forma con una forza e un’inventiva di quelle che in un mondo ideale dovremmo aspettarci dagli esordi e invece troviamo nei film dei maestri.

Leonora addio non è certo un film perfetto (non mancano certe leggerezze nella direzione degli attori) ma è un film vivo, giovanissimo nel disinteresse per la buona grammatica del cinema che non significa mai scorrettezza nè trascuratezza (la fotografia di Paolo Carnera è tra le migliori dell’anno). Un film che si regge in piedi e produce senso in modi tutti suoi, giocando secondo regole che ha appena inventato.
E questo gli consente anche di essere permeato di un profondo senso della storia, della prospettiva e della struttura, nonostante sia tutto palesemente destrutturato. Leonora addio accosta la storia delle ceneri di un grande artista scomparso con episodi grotteschi degni della sua produzione, in un’Italia ancora fascista (quella degli anni in cui erano bambini Paolo e suo fratello) e poi post-fascista. E poi come se fosse la cosa più naturale del mondo a due terzi aggiunge un cortometraggio slegato da tutto come coda. L’ultima cosa scritta da Pirandello prima di morire, una storia di emigrazione e morte (di nuovo), che contiene un paio di transizioni eccezionali di un ragazzo, poi anziano di fronte sempre alla stessa tomba nonostante il passare del tempo. Chi sia quella persona fissa davanti ad una tomba non è difficile da immaginare.

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