Sì, Luc Besson è un autore manierista, che fa film per il grande pubblico, che non ha paura di sporcarsi le mani e di “far concorrenza” a Hollywood sul suo stesso terreno, mettendo in piedi grandi produzioni con attori americani ma realizzate in Francia. Un regista le cui storie sono quasi sempre basilari, elementari, strumento per ragionare sullo stile, sui personaggi, sul linguaggio. Per quanto ancora però, almeno nel panorama italiano, questi aspetti saranno visti come negativi, tanto da far storcere il naso di fronte al cineasta in questione? In vista dell’uscita nelle sale del suo ultimo film, Dogman, vi raccontiamo allora 7 momenti simbolo del suo cinema, fatto di alti e bassi, certo, ma sempre con un’idea molto forte alla base, rintracciabile anche nei progetti fallimentari, come la sua Giovanna d’Arco e la trilogia dei Minimei.

Per questo, solo The Lady, storia della pacifista birmana Aung San Suu Kyi, sembra un corpo estraneo nella filmografia di Besson: un biopic correttissimo, ma anche tremendamente convenzionale. Come tutti i suoi altri lavori non sono.

L’avant-dernier – post-apocalissi elettroniche

Quando volte, in riferimento alla prima opera di un futuro grande autore, abbiamo letto una frase del tipo “contiene già tutto il regista che verrà?”. Parlare così di L’avant-dernier per Luc Besson, almeno per la prima parte della sua carriera, è per una volta vero, almeno per due aspetti. Si tratta di un corto di 11 minuti che fungerà da base per il lungometraggio d’esordio del cineasta francese, Le dernier combat. L’incipit mostra un universo post-apocalittico pieno di metallo e rottami, in cui, all’interno di una casa in rovina, il protagonista (Pierre Jolivet) si sta divertendo con una bambola gonfiabile. Poco dopo, viene interrotto da un misterioso personaggio, interpretato proprio da Jean Reno, presenza poi fissa dei primi film del regista. A dominare l’atmosfera troviamo un tappetto sonoro di musica elettronica a cura di Eric Serra, altro collaboratore assiduo di Besson, che infetta il sottogenere di riferimento e ne da nuova sostanza, così come poi farà con la spy story di Nikita, il melò/action di Leon, la fantascienza de Il quinto elemento

Subway – punk, videoclip e Godard

Subito dopo Le Dernier combat, Besson realizza nel 1985 Subway, grande successo di pubblico e un grande manifesto d’intenti, che emerge soprattutto nel frammento conclusivo. La storia narra di un uomo (Christopher Lambert) che, per fuggire a una banda di gangster a cui ha rubato degli importanti documenti, si reca nella Metropolitana di Parigi, dove incontra un sottobosco umano decisamente variegato. Qui, mentre si innamora della moglie del capo dei criminali (Isabelle Adjani) fonda una band punk con alcuni degli individui che incontra. Nel finale, questi prendono di forza il posto di un ensemble di musica classica, esibendosi di fronte a un pubblico vecchio e borghese che ne rimane scioccato. Chiaro discorso metacinematografico del regista: rivolgendosi a un pubblico giovane, Besson ibrida l’estetica dei videoclip musicali ai riferimenti alti della trama, che, mescolando crime, thriller e melò, cita ad esempio Il braccio violento della legge (l’inseguimento iniziale sotto la metropolitana) e, nel ricongiungimento tragico dei due amanti sul finale, Fino all’ultimo respiro di Godard.

nikita

Nikita – la femminilità non ha limiti

Nikita, uscito nel 1991, è il primo film di Besson a proporre come protagonista un’eroina intraprendente e determinata. Condanna all’ergastolo dopo una rapina, una giovane ragazza (Anne Parillaud) viene reclutata da un agente dei servizi segreti francesi, Bob, che la costringe a diventare killer professionista. Impara così a farsi corpo d’azione mascolino senza però rinunciare alla componente femminile: mentre è sottoposta a duri allenamenti, si ritrova, in una celebre scena, con una misteriosa donna interpretata da Jeanne Moreau, prima di andare a cena con Bob. Mentre quest’ultima le passa il rossetto sulle labbra, la invita a “lasciarsi andare al piacere, perché due cose non conoscono limiti: la femminilità e i modi di abusarne“. Nikita è dunque una donna “costruita” dall’uomo ma che saprà poi riversare il rapporto di forza a suo vantaggio.

Il quinto elemento – l’essere perfetto

A espandere e rinforzare il discorso alla base di Nikita, troviamo poi Il quinto elemento, prima grande produzione europea di Besson. Nel 2263, il “Male Assoluto” incombe sulla Terra, e l’unica arma per sconfiggerlo è Leloo, un essere alieno che viene ricostruita in laboratorio a partire da un brandello di un tessuto organico e si rivela dall’aspetto di una giovane donna umanoide (Milla Jovocich). Mentre dalla capsula si svelano le sue splendide fattezze, il regista inquadra con insistenza i volti degli scienziati presenti, che non nascondono il loro volto stupito e più volte la chiamano “l’essere perfetto”. Leloo, appena “nata”, sembra del tutto disorientata, ma poco dopo comincerà a mostrare notevoli doti atletiche.

Besson dunque ironizza, ma non certo critica, lo sguardo maschile, di cui il film racconta ancora una volta le fantasie nel modo più sfacciato, come quando sarà poi un ignaro tassista (Bruce Willis) a ritrovarsi Leloo per caso sulla sua vettura, venendo coinvolto nelle sue avventure e finendo per innamorarsi di lei. Così un (basilare, ancora una volta) intreccio fantascientifico viene piegato da Besson nella sua ode alla donna, nata dall’immaginario maschile ma non succube, dove l’anima romantica prenderà alla fine il sopravvento su lugubri destini apocalittici.

nikita

Angel – A – il Besson cinefilo

A volte, la cinefilia di Besson si rivela nei dettagli: il cameo di Jeanne Moreau (diva della Nouvelle Vague) in Nikita, un veloce scorcio di ragazzini nella Little Italy di New York che immediatamente richiama C’era una volta in America. Altre, il gioco è più scoperto: lo era nel caso di Subway, lo è vent’anni dopo per Angel-A, piccolo (per dimensioni) film in bianco e nero girato subito dopo il flop de Giovanna d’Arco. Ancora una volta troviamo al centro un antieroe solitario, questa volta André (Jamel Debbouze), vagabondo pieno di debiti con la malavita che medita il suicidio. Ma un angelo, dall’aspetto di un’affascinante donna (Rie Rasmussen), verrà a salvarlo.

Nella scena dell’incontro tra i due, la mente subito va a La vita è meravigliosa di Frank Capra, richiamato anche dalla presenza di una figura celeste molto sui generis e dalla riscoperta finale del valore della vita da parte del protagonista. In Angel – A, André si reca su un ponte della Senna e, prima i compiere l’irrevocabile gesto, guarda il cielo e chiede perché è stato abbandonato; all’improvviso scorge vicino a lui una ragazza che si butta nell’acqua, decidendo di salvarla. Un incontro che li cambierà l’esistenza.

Lucy – supereroine bessoniane ai tempi della Marvel

Lucy (Scarlett Johansson) si risveglia di soprassalto dentro una cella, dopo che il suo corpo ha assorbito una sostanza che le permetterà progressivamente di raggiungere il 100% delle facoltà del cervello, scoprendo di avere così di avere incredibili poteri fisici e mentali . Negli anno ’10, le eroine bessoniane si aggiornano ai tempi della Marvel: quella di Lucy, come quella di Nikita, è di fatto un’origin story con la scoperta però qui non tanto di un abilità da allenare (il killer instinct) ma di un vero e proprio superpotere. Eppure, ancora una volta, il regista coglie lo spirito del suo tempo, prende le coordinate di un genere, ma poi le piega alla sua visone: Lucy ha la confezione di un B-Movie molto violento (con l’influenza qui di certo cinema coreano) pieno di inseguimenti e sparatorie frenetiche e con un personaggio femminile perfettamente in linea con la sua poetica.

nikita

Valerian e la città dei mille pianeti – fantascienza, videogame e realtà virtuale

Punto di non ritorno per il grandeur di Luc Besson è Valerian e la città dei mille pianeti, progetto da 180 milioni di budget il cui flop al box-office ha portato al fallimento della sua casa di produzione, l’Europacorp. Una grande storia per dimensioni ma semplicissima per lo sviluppo, dove a contare è la resa visiva, le riflessioni sui media. All’inizio della vicenda, per recuperare un importante oggetto, gli agenti Valerian e Laureline (Dane DeHaan e Cara Delevingne) si recano su un pianeta dove si vive nel deserto ma, indossando degli speciali caschi con occhiali, si “arriva” in un’altra dimensione, un Gran Mercato futuristico e all’avanguardia.

Il protagonista dunque indossa quello che chiaramente appare come un visore e si sposta come l’avatar di un videogame alla ricerca dell’obiettivo della sua missione, potendo interagire tra i due mondi. L’estetica videoludica più moderna si combina a quella della fantascienza e del fumetto (fonte originale della storia) ma senza dimenticare gli strumenti del cinema: mentre senza soluzione di continuità l’immagine passa dalla sabbia ai grandi palazzi, a introdurci nel nuovo mondo è infatti un elaborato movimento di macchina: l’effetto meraviglia è, ancora oggi, il più grande potere della Settima Arte.

Cosa ne pensate? Quanto attendete Dogman di Luc Besson? Ditecelo nei commenti!

BadTaste è anche su TikTok!

Articolo in collaborazione con Lucky Red

Classifiche consigliate