L’idea che il cinema appartenga a Hollywood e all’America è destinata a tramontare: nel 2020 infatti la Cina è diventata il primo mercato come portata degli incassi superando il Nord America. Certo, c’era di mezzo il Covid, una pandemia che si è mossa con tempi, reazioni, e misure differenti di paese in paese. Però il dato è ugualmente clamoroso.

Negli ultimi anni bastava guardare un qualsiasi film ad alto budget americano per intuire un radicale cambio nei rapporti di forza. La Cina è diventata da anni un mercato fondamentale per gli incassi globali. Tanto che gli studi hanno iniziato a progettare i loro film con quel territorio e quella cultura in mente (affare non semplice come vedremo tra poco).

Come il cinema è arrivato in Cina

Il libro di Erich Schwartzel Red Carpet: Hollywood, China and the Global Battle for Cultural Supremacy, ha fatto molto discute la stampa specializzata. Fotografa infatti la situazione attuale rapportandola al passato, non solo industriale, ma anche politico. Evidenzia un rapporto tra propaganda, cinema, e influenza culturale. La tesi di fondo è che tutto sta cambiando ancora una volta in pochi anni. È sempre più difficile riuscire ad esportare dei titoli che rispettino le regole dettate dal governo che sta imponendo sempre più controllo rispetto al prodotto straniero.

I criteri di accettazione – o di respingimento – di un titolo sono infatti meno chiari di un tempo e più aleatori. Soprattutto sono spesso legati a fattori extra filmici difficilmente prevedibili, come i commenti impropri di un attore o contenuti da noi ritenuti innocui, ma non approvati dalle maglie della censura.

Cina: un decennio di successi

Ci sono stati in passato tanti casi di successo per questa collaborazione tra Hollywood e la Cina. Uno dei più clamorosi fu Transformers 4: l’era dell’estinzione che diventò il film di maggiore successo di tutti i tempi in Cina (anche se a dire il vero il primato non durò a lungo).

Con un aumento degli incassi e dell’interesse molti film vennero salvati da questo territorio (Pacific Rim per dirne uno). Generalmente il risultato totale al botteghino dei blockbuster è stato fortemente sostenuto dalla Cina. Gli studi, sempre più propensi all’abbattimento del rischio e alla diversificazione delle entrate, hanno guardato alla Cina come alla grande opportunità che stavano aspettando da tempo. Evidentemente, e l’abbiamo capito da poco, l’entusiasmo non era condiviso da un regime che tiene in particolare conto gli effetti che potrebbe avere l’influenza culturale di una potenza straniera.

 

Transformers Cina

Come siamo arrivati fino a qui?

Tutto iniziò nel 1994. In quel periodo l’economia della Cina si stava modernizzando si stava aprendo al mondo. Dopo la rivoluzione culturale i cinema cinesi faticavano ad attirare la gente. In cartellone c’erano esclusivamente film di propaganda. Fu Warner Bros a provare per prima la nuova strada proponendo Il fuggitivo come aiuto alla ripresa dell’esercizio. Il contratto era molto vantaggioso per le sale. Prevedeva che solamente il 13% dell’incasso dei biglietti staccati sarebbe ritornato alla Warner Bros. La cifra ottenuta non cambiò le sorti del film dal momento che fece circa 3 milioni di dollari. Come spiega però Erich Schwartzel per il box office complessivo di quegli anni in Cina era tutto sommato un ottimo risultato. Fu insomma un tentativo interessante.

Nel 1997 ci furono due casi importanti in cui le autorità cinesi si imposero rispetto alla circolazione dei film. Il primo fu Kundun di Martin Scorsese il secondo Sette anni in Tibet. Entrambi raccontavano la storia del giovane Dalai Lama. Veniva però fortemente criticata la politica cinese nei confronti del Tibet. Il governo mostrò il suo fastidio e chiarì che gli studi ne avrebbero pagato le conseguenze. Disney e Sony si trovarono quindi nell’occhio del ciclone. In particolare i guai colpirono la casa di Topolino che aveva grandi piani di costruzione di parchi a tema in quella “nuova frontiera“. Impedirono infatti a entrambi gli studi di fare affari in Cina bloccando le collaborazioni in essere.

Se c’è una cosa che si è capita nei rapporti tra le due nazioni, è che le scuse sono sempre bene accette. Michael Eisner dovette recarsi a Beijing per risolvere l’incidente diplomatico. Addirittura la Disney aveva deciso di distribuire il film in pochissime sale in modo tale da farlo fallire. Una trascrizione realmente esistente del suo incontro cita “la cattiva notizia è che il film è uscito. La buona notizia è che nessuno l’ha visto”.

Come è cambiata la normativa

Il primo accordo del 1994 permetteva la distribuzione di soli 10 film all’anno. Nel 2012 l’allora vicepresidente Joe Biden e Xi Jinping (non ancora presidente) negoziarono un’espansione che permettesse a 34 film stranieri di passare sugli schermi in un anno. La precedente percentuale del 13% di ritorno sulle vendite dei biglietti viene aumentata al 25%. Con un accordo del genere praticamente ogni studio poteva giovarsi di un incremento della portata economica ai suoi film di punta. Tutto questo a meno di incidenti diplomatici.

Mission: impossibile III avevo una scena in cui Tom Cruise correva a Shanghai mentre sullo sfondo si vedeva della biancheria stesa. Le autorità chiesero di cancellare quel dettaglio perché ritenevano che presentasse un’immagine non adeguata rispetto a quello che volevano che il mondo vedesse. Persino le commedie romantiche come In good company erano a rischio, perché presentavano giovani ribelli che andavano contro il sistema. Insomma: comprendere la psicologia del regime è tutt’altro che semplice.

Ci sono poi i casi clamorosi di John Cena travolto dalle polemiche per avere definito Taiwan “una nazione”. Alcune vecchie critiche di Chloe Zhao che hanno portato al blocco del film Nomadland ma soprattutto di Eternals. Persino Shang-Chi, fatto esplicitamente con quella cultura come target primario, ebbe dei grandi grattacapi a causa di alcune dichiarazioni di Simu Liu.

Gli Stati Uniti stanno ancora imparando come stare al gioco. Ormai i film vengono concepiti secondo un processo di “reverse engineering” partendo da un concept e poi aggiungendo gli elementi che lo rendono esportabile.

Gli imprenditori cinesi invece sono ormai entrati a Hollywood in pianta stabile. Lo studio di produzione e distribuzione Tencent Pictures ha quote nella Skydance. Jack Ma ha investito in Amblin tramite Alibaba.  La domanda non è più quindi come l’influenza cinese cambierà i film statunitensi. Piuttosto bisognerà chiedersi per quanto ancora l’industria hollywoodiana importerà a una nuova industria dell’intrattenimento sempre più potente e sempre più autonoma.

Le parti potrebbero invertirsi anche prima del previsto.

Fonte: Deadline, NPR

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