In questo articolo si ragiona sul genere cinematografico a cui appartiene il film Gran Turismo. Per farlo abbiamo dovuto inserire degli spoiler significativi. Leggete con cautela. 

Il cinema dei brand è quello che racconta la storia di un marchio di scarpe. Invece di far venire voglia di correre, fanno venire voglia di acquistarne un paio. Il cinema dei brand mette a tema quello che si può fare grazie ai prodotti come vestiti, giocattoli, videogiochi. Ha una storia, certo, ma il senso ultimo raramente viene rappresentato (solo) da un personaggio. Nel cinema dei brand ci sono, appunto, i brand: abbondano i loghi e le marche come soggetti principali. Spesso questi sono anche diretti responsabili della produzione del film. Una forma di product placement che si è impossessata del film? Non proprio. Un tempo c’erano i film di propaganda (politica) oggi si può parlare dei film di réclame. 

Ciò non impedisce che possano essere fatti bene, a volte veramente benissimo. Li si riconosce generalmente perché hanno il nome del prodotto nel titolo (anche se non è vincolante). Quello che conta è una prospettiva narrativamente esterna. In Transformers (che non è cinema dei brand) nessuno va a chiedere aiuto alla Hasbro. Barbie invece va dalla Mattel. Emmet Mattonowski è in un mondo di LEGO da cui fugge e scopre che è creato dagli umani e, ovviamente, dall’azienda.

In Gran Turismo Polyphony Digital e PlayStation raccontano la storia vera di Jann Mardenborough, da videogiocatore a pilota. È solo una copertura. In realtà il vero protagonista del film è Gran Turismo: è lui che permette di realizzare i sogni di chi lo utilizza. È per merito della simulazione, così accurata e divertente, che il ragazzo scopre il suo talento. Se lui diventa un pilota è merito della visione di Kazunori Yamauchi e dello strumento che ha creato. Mardenborough, a ben vedere, insegue esattamente il sogno che Polyphony Digital ha confezionato per lui.

Gran Turismo

Gran Turismo corre sulla sua traiettoria

Di positivo c’è che questi film giocano a carte scoperte, si sa benissimo a cosa si va incontro quando si prende un biglietto, e bisogna ammettere che talvolta riescono anche a emozionare. L’esempio è ovviamente Barbie, che nella sua semplicità è riuscito ad alimentare dei discorsi molto complessi su dei temi molto difficili. Gran Turismo si presenta con ambizioni più esili, ma dentro, schiacciato nel terzo atto, ha anche un grande film di auto, girato molto bene e sorprendentemente appassionante. 

Segui la tua traiettoria“ e la morale del gioco. Viene pronunciata ad alta voce da Jack Salter (David Harbour), ma sembra provenire dal diario personale del creatore del videogioco. Neill Blomkamp si diverte moltissimo con le gare, crea una bella energia col montaggio e col comparto sonoro che, guarda caso, riprende esattamente i suoni del videogioco. Anche le inquadrature scelte dalla regia sono quelle classiche di Gran Turismo: ci sono quelle sopra la vettura e quelle delle curve del circuito prima della gara. In una scena i personaggi devono persino rivedersi nel replay.

Questo è ben diverso da un adattamento videoludico tradizionale come ad esempio sono i Tomb Rider dove il gioco si ritrova nell’ambientazione e nella trama, ma non nell’emulare l’esperienza di fruizione. Gran Turismo si apre e si chiude letteralmente con la creazione del videogioco stesso. Ci sono i garage identici a quelli dei filmati post gara. Ci sono le stesse dinamiche di apprendimento: quella che affronta il protagonista nell’accademia non è alto che un addestramento simile a quello che si fa nel centro patenti del gioco.

Qui e negli altri film dei brand l’obiettivo primario è ricreare la sensazione di utilizzare l’oggetto del titolo… che diventa soggetto del film.

Un protagonista anonimo perché possa rappresentare tutti

Gran Turismo porta avanti il genere del brand cinema facendo una mossa molto acuta: rende anonimo il più possibile il suo protagonista affinché possa rappresentare tutti i giocatori. Jann Mardenborough ha il volto di Archie Madekwe, certo, però la sua è una faccia non da star, poco riconoscibile e volutamente poco incisiva. Bello, ma non così bello da rendere improbabile un’identificazione. Non può essere interpretato da una grande star. Le due (Harbour e Bloom) sono figure di supporto.

Gran Turismo

L’arco narrativo di Mardenborough, un giocatore bravo nel mondo digitale che lo diventa anche in quello reale, si conclude a metà film con la firma del contratto. Da lì in poi Mardenborough viene percepito come “il giocatore campione”. Il rappresentante di una categoria, parte di un gruppo di persone che possono essere come lui. Non è un caso che, nel finale, la sua storia dovrà fondersi con quella di altri due compagni di corse. Perché per Gran Turismo la vittoria di chi pratica gli e-sport è collettiva, mai singola. Vince l’idea che il simulatore sia valido e chi la sostiene.

“Il giocatore” che ha avuto successo diventa portatore di un’idea, di una filosofia di vita che deriva proprio dal suo videogioco. Lui crede che l’e-sport sia sport. Suo padre no e lo invita a uscire all’aria aperta a giocare a pallone (una scena volutamente stereotipata, proprio per racchiudere una visione antagonista generica).

Gran turismo alla ricerca di un nemico

Soffermiamoci un attimo sul padre e la madre del protagonista: sono due figure distanti e non potrebbe essere altrimenti. Ci si può identificare ne “il giocatore” grazie al suo essere poco spigoloso. La sua condizione familiare fa di tutto per non contraddire questa scelta. Una famiglia il più generica possibile: felice, ma non troppo. Unita, ma non troppo. Sufficientemente distante da non essere riconoscibile. Una famiglia che possa rappresentarne il più possibile. 

Gran Turismo cerca nemici ovunque. Più che film sportivo è una storia di bene contro male, di idee giuste contro sbagliate. Danny Moore diventa per qualche decina di minuti “il cattivo” quando smette di credere ne “il giocatore”. Poi ritorna figura positiva. Succede lo stesso persino con i meccanici e, ovviamente, con gli altri piloti. 

La fine del videogiocatore perdente

Jann Mardenborough ha anche la sua sfilza di premi. A morte l’immagine del nerd chiuso in casa! Grazie al videogioco ottiene la ragazza-trofeo. Grazie alla sua abilità maturata di fronte allo schermo guadagna uno stipendio maggiore di quello di suo padre. Diventa celebre. Impara ad essere spontaneo di fronte alle telecamere. Si trasforma in campione. Cosa sarebbe successo se non avesse mai acquistato il videogioco? In un qualsiasi film sportivo il talento del campione avrebbe trovato un modo per emergere. In Gran Turismo no. Così nel cinema dei brand lo spettatore viene chiamato a sentirsi protagonista anche grazie alle sue scelte di acquisto. 

Gran Turismo

Jann Mardenborough non sa esultare. Lo fa malissimo, esagera, è ridicolo. Neill Blomkamp insiste su queste brutte esultanze rovinando il culmine di molte vittorie con inquadrature poco efficaci. Si capisce il perché solo alla fine. Quando “il giocatore” trionfa all’ultima gara festeggia per la prima volta in maniera composta, con un pugno al cielo. È la stessa immagine del filmato di vittoria all’interno del videogioco. Il pilota inquadrato dal basso verso l’alto, con il sole che illumina il suo casco. Il casco che cela il suo volto. 

In quel momento nel film di Gran Turismo James Mardenborough diventa il pilota misterioso del videogioco. Ovvero l’avatar di qualsiasi videogiocatore seduto in sala nel posto da spettatore.

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