Se i Marvel Studios contano sui mutanti per ridare vita al loro universo e garantire un altro decennio di storie devono ricordarsi una cosa importante: è già stato detto tantissimo sugli X-Men. Quando Jon Favreau ha preso in mano il personaggio di Tony Stark/Iron Man solo i lettori di fumetti e pochi altri lo conoscevano. Non c’era, a dire il vero, un grande entusiasmo intorno a un personaggio considerato minore fino a quel momento. Era tutto da costruire. 

I figli dell’atomo sono stati invece tra i primi esponenti dell’età dell’oro dei supereroi al cinema. Insieme a Spider-Man di Sam Raimi, gli X-Men di Brian Singer avevano fatto capire dove si poteva arrivare. In quei primi set prestava il suo servizio anche un giovane assistente produttore di nome Kevin Feige. A completare un ideale “cerchio della vita cinematografica” ecco palesarsi all’orizzonte negli ultimi anni la prospettiva di un ritorno degli X-Men per rinfrescare le trame in casa Marvel Studios che il multiverso ha un po’ azzoppato. Per portare volti nuovi – su personaggi però già noti – e ricominciare da capo a espandere l’universo con una prospettiva diversa. 

C’è però un problema. L’operazione nostalgia che risponde al nome di X-Men ’97 si è rivelata molto più ambiziosa di quanto era lecito aspettarsi. Una serie animata che non gioca comodo ma, anzi, usa la libertà garantita dalla sua marginalità rispetto all’universo per sperimentare più di quanto sia mai stato fatto con quei personaggi. Tutto questo è esaltante da vedere nella serie, ma chi dovrà occuparsi di trasportare i mutanti in live action si troverà una bella gatta da pelare.

C’è originalità dopo X-Men ’97?

Una regola della creatività è quella di non tirarsi mai indietro. Non bisogna cioè lasciare le idee inespresse in attesa di sfruttarle più in là sperando che il franchise cresca. Ogni film è importante in sé e dovrebbe contenere tutti spunti necessari per fare qualcosa di buono. Quello che ha fatto Beau DeMayo è stato proprio mettere in ogni episodio più idee possibili. Sia piccole intuizioni, come il viaggio nei videogiochi 8 bit, che viaggi nell’interiorità dei personaggi e stravolgimenti più grandi degli equilibri. L’episodio 5, quello dell’attacco a Genosha, è stato uno degli atti più creativi che si siano visti in un prodotto audiovisivo legato ai mutanti. Chi se lo sarebbe aspettato da una serie animata?

X-Men ’97 sta dimostrando, facendo fuori sistematicamente nomi a cui attribuiamo lo stato di assoluti protagonisti, che gli X-Men non devono per forza avere un leader fisso. Che ogni personaggio può avere il suo momento di gloria e una trama interessante. Se lo possono permettere proprio per il fatto di essere mutanti. Personaggi feriti, conflittuali e in lotta con se stessi. È il tema dei reietti. Di chi sta ai margini della società quando si sente però così potente da diventarne il centro. Fanno paura, è questo il punto.

X-Men '97

La serie segna uno splendido ritorno alle origini del pensiero sui mutanti, quello dei primi albi. Gli fa incarnare “lo straniero” per eccellenza. Scrivere la squadra di mutanti in questo modo ha ridato una gran vita al franchise. Le basi da cui partono i personaggi hanno ancora molto da dire. Solo che X-Men ’97 sta facendo tutto questo con rapidità: corre da una storyline all’altra provando di tutto. L’attentato di qualche episodio fa contro la nazione mutante di Genosha è stato l’11 settembre degli X-Men. Un momento che narrativamente cambia tutto il rapporto con gli umani. Una cosa mai tentata al cinema in questo modo, con questa intensità drammatica (sebbene molto importante nei fumetti). Un punto di non ritorno che stravolge la serie.

Ogni X-Men può essere un protagonista

X-Men ’97 porta alcune buone notizie per i Marvel Studios. Prima di tutto dimostra che anche loro possono fare cose buone con l’animazione. L’assenza di Charles Xavier nei primi episodi ha dimostrato poi che per funzionare queste storie non hanno bisogno dei soliti noti. Persino una superstar come Wolverine si può permettere di restare marginale. 

Che lavoro di scrittura su Magneto, molto meglio di quanto visto fino ad ora nei film! Il personaggio si è liberato dalle limitazioni di un villain. È semmai un oppositore politico di Xavier. Uno che persegue un obiettivo molto simile, con mezzi radicalmente diversi. Il suo essere leader, insieme a Ciclope, ha rinfrescato le dinamiche interne al gruppo proprio nel modo in cui dovranno fare i film in arrivo nel futuro. Un’anticipazione di quello che verrà o un’idea sviluppata prima del tempo in un prodotto marginale?

I Marvel Studios dovranno rilanciare i mutanti trovando nuove prospettive da cui raccontare la loro ascesa. Il dato positivo è che, grazie all’incredibile numero di personaggi, hanno ampi margini di manovra per comporre il team. Molti di loro, se scritti a dovere, possono reggere un film sulle loro spalle. X-Men ’97 ha dimostrato che conterà molto la sapienza con cui viene scelta la rosa della squadra. 

X-Men '97

Il “problema” della sintesi

X-Men ’97 fa molto in poco. Ha la capacità di andare in profondità in soli 30 minuti e di cambiare tema, situazione, atmosfera, di episodio in episodio. Ogni puntata sembra una versione ridotta di storie che potevano andare a coprire un intero film o addirittura una saga. 

La rapidità con cui Beau DeMayo si muove su temi maturi come le ansie della maternità, la tolleranza tra i popoli, la paura del sentirsi diversi, rischia di fare sembrare ogni altra ripresa del discorso come ridondante e retorica, ma soprattutto già vista. 

L’attacco a Genosha è stato il passaggio fondamentale dalla nostalgia degli anni ’90 ad uno stile narrativo moderno (in cui lo shock è parte dell’esperienza). Il limite di X-Men ’97 sta ora, paradossalmente, proprio nel ’97. La serie è ormai indipendente dal suo passato, cammina libera con nuove idee e nuove atmosfere. Senza paura di ammazzare i personaggi più amati e con le infinite possibilità che offre l’animazione nel riprendere l’azione più spettacolare e colossale.

Così tanto in così poco. Uno show che punta a rilanciare sempre più in là, a usare tutte le sue carte a disposizione, a non lasciare nulla di intentato pur di contare. Un approccio molto diverso rispetto all’eccessivamente cauto What if…?. Lì il potenziale non è mai stato raggiunto appieno. Qui invece ogni episodio, anche i meno riusciti, segue il proposito di sbattersene della prudenza e sperimentare. 

La domanda è: alla fine di queste due stagioni (sempre che proseguano con questa qualità), sommando a quanto di buono fatto dai film in precedenza, cosa resterà di nuovo da raccontare dei personaggi? I Marvel Studios all’inizio non avevano un passato da rispettare. L’eredità degli X-Men sta diventando invece sempre di più un’eccellenza da mantenere e veramente difficile da eguagliare. X-Men ’97 potrebbe essere un bel problema per l’MCU. O forse, al contrario, è proprio il prodotto che serviva per alzare l’asticella nelle ambizioni rispetto a quanto si può fare in futuro. È il segno di uno studio che è tornato finalmente a sfidare se stesso?

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