Se guardate Titanic con un bambino probabilmente vi chiederà se la nave (finta) è affondata veramente. Per i film di qualsiasi altro regista si risponde di no, che è tutto ricostruito, e lo si fa senza indufi. Nel caso di James Cameron no. Lui è per i registi quello che Tom Cruise è per gli attori. Cioè uno che le cose le fa sul serio, mettendosi in gioco anima e corpo. Così, visti i costi esorbitanti del film Titanic, per un attimo ha valutato l’idea di ricostruire il transatlantico a grandezza reale e affondarlo. Avrebbe speso meno.

Alla fine non è stato fatto perché non avrebbe potuto girare più di un take, non per l’assurdità della proposta. Ragiona così uno dei ultimi registi che sanno essere sempre significativi ad ogni loro film. Così tanto che le sale si sgombrano per lasciargli posto, gli altri film fanno come i pesci con un predatore, si allontanano e osservano con timore e riverenza. Così è accaduto con Avatar – La via dell’acqua, una delle tante imprese titaniche della carriera del regista.

Un auto didatta che non ha mai smesso di imparare

A differenza di molti colleghi della stessa generazione James Cameron non ha frequentato una scuola di cinema. È entrato a Hollywood facendosi finanziare il suo primo cortometraggio Xenogenesis da un gruppo di dentisti mormoni ed eseguendo tutto da solo. Per via del suo talento così diffuso su più settori ha fatto fatica ad essere inserito in un ruolo specifico. Andava bene ovunque era messo, con una particolare propensione per gli effetti visivi. Alla New World Pictures di Roger Corman, Cameron era praticamente un artigiano tuttofare. 

È un regista che non ha mai smesso di mettere le mani in pasta, di conoscere il più possibile la filiera di produzione, dalle tecniche di scrittura (le sue storie si stanno semplificando di film in film, ma hanno sempre evitato la banalità tematica) a quelle visive. La prima prova del suo titanismo, degno di un maciste, più che di un Don Chisciotte, è la straordinaria ambizione delle sue missioni. Tutte riuscite.

È partito dalla serie B con Piraña paura e ha intrapreso una carriera esponenziale. Ad ogni film crescevano il budget e le intenzioni artistiche. È l’unico regista che ha gestito budget così elevati per così tanti film in un crescendo di difficoltà e di enormità delle ambizioni che non accenna a diminuire. Prima bastava intrattenere, poi stupire, poi far vedere qualcosa di mai visto prima, poi emozionare coniugando spettacolo visivo all’avanguardia e filosofia. A questo punto ha travolto la Hollywood della grande arte conquistando l’Academy e infine si è proposto di cambiare il modo di fare e vedere i film. Con il messaggio ecologista che guida il progetto dei sequel che parte da Avatar – La via dell’acqua probabilmente James Cameron vuole salvare il mondo dall’autodistruzione. 

James Cameron spende molto, ma non a vuoto

Gli studio sono molto riservati sul costo dei loro film. Quando questi sono un successo, sono più aperti a rivelare anche budget esorbitanti. Avatar con i suoi 2,922 miliardi di dollari è il film di maggiore incasso della storia del cinema ed è anche stimato come uno dei film più costosi di sempre. Il cinema di James Cameron è soprattutto attrazione sensoriale, uno spettacolo che ben si concilia con i parchi a tema. Nel 1996 girò Terminator 2 3-D: Battle Across Time, un cortometraggio in 3D per i parchi divertimenti degli Universal Studios. Costato 24 milioni di dollari per una durata di 12 minuti è il film con il rapporto spesa\minutaggio maggiore di sempre. 

James Cameron è uno spendaccione, ma con cognizione di causa. Ogni dollaro che non viene investito direttamente nella produzione è messo nella ricerca e sviluppo. Per arrivare all’impresa di essere candidato a 14 Oscar vincendone 11, Titanic ha iniziato a drenare soldi già dalla pre produzione quando Cameron mise in piedi un team per andare a filmare il vero relitto del Titanic. Alla Fox aveva detto che avrebbe fatto il film per 80 milioni, loro ne stimarono 135. Alla fine il budget arrivò a 200 milioni di dollari con il regista che mise i soldi di tasca propria. Con dispiacere dovette rinunciare a una scena in cui Rose scendeva dal transatlantico Carpathia per disperdersi nella folla fatta da 1.000 comparse per meno di 30 secondi!

Con Titanic si giocò tutto andando controcorrente. Una scommessa che avrebbe tolto la salute mentale a chiunque. Il film era lunghissimo, ed era sia un blockbuster che una storia d’amore intimista. Era insensatamente costoso e giudicato fuori moda. Poteva essere un devastante fallimento o un incredibile successo. Oggi sappiamo cosa è stato (è il terzo maggiore incasso di sempre), ma Cameron ama raccontare che nella sala montaggio teneva una simbolica lametta. Vicino c’era scritto, con voluta ambiguità, “usala se il film fa schifo”. 

James Cameron

Rischiare la vita per scoprire un nuovo mondo

Con un budget complessivo stimato di un miliardo di dollari il progetto dei sequel di Avatar è tra i più colossali e ambiziosi di sempre. In questa cifra non rientra una ricerca sul campo per così dire indiretta. È stata mascherata da impresa record. Più che costosa andrebbe definita come rischiosa.

La via dell’acqua è ambientato in gran parte nel mare, un elemento particolarmente caro al regista. Se un giorno tutti i suoi film si cancellassero dai server James Cameron verrebbe ricordato lo stesso come il primo uomo ad essere arrivato in solitaria sul fondo della Fossa delle Marianne nel marzo del 2012. Riemerso, ha descritto l’impresa come l’affascinante incontro con un mondo desolato e alieno. Anche in questo caso un’esperienza ai confini della percezione.

James Cameron è anche un imprenditore. Uno che crea società per arrivare dove vuole. Oltre alla sua casa, la Lightstorm Entertainment, ha sviluppato svariati progetti. Insieme a Stan Winston ha fondato nel 1993 la Digital Domain, società americana specializzata nella produzione di effetti speciali. Voleva spingere sul cinema digitale ibridato con attori veri. Così ha scritto la prima bozza di Avatar solo come una provocazione che desse uno stimolo alla tecnologia per evolversi. L’ha sviluppata in parallelo con Alita, il progetto Battle Angel inseguito da tempo (poi lasciato a Robert Rodriguez). Senza un contesto narrativo non avrebbe potuto fare avanzare il motion capture. Così, arrivato alla fase di test, ha deciso di sviluppare per primo Avatar perché solo nella sua sceneggiatura era prevista una forte interazione tra personaggi in computer grafica e quello andava testato. Le esigenze tecnologiche hanno scelto per lui.

avatar acqua

La creatività costringe a superare i limiti

Questo modus operandi è nel suo DNA da sempre.The Abyss ha affrontato le stesse difficoltà di Avatar 2. Complicate riprese sott’acqua, l’illuminazione del set che doveva permettere sia la chiarezza delle immagini che un’immersione nel buio dell’oceano e infine un salto generazionale nelle possibilità della computer grafica. Hanno così costruito un sistema di illuminazione apposta per il film, che limitasse il rischio di morire tutti elettrificati sott’acqua. Come mostrare un tentacolo traslucido composto di acqua che si muove al di fuori di essa? Dopo aver valutato alcune soluzioni pratiche il team degli effetti visivi si è convinto di farla in CGI. Era il 1989 e i computer non avevano metà della potenza che c’è oggi su un cellulare. Nulla di simile era stato visto prima. Una delle sue tante prime volte.

Ogni film si pone sopra al precedente per James Cameron e le cose imparate non si dimenticano. Così nel 1991 Terminator 2 – Il giorno del giudizio usava la tecnica appresa da The Abyss e la espandeva mostrando il metallo liquefarsi e cambiare forma. Allo stesso modo Avatar 2 costruisce la sua fortuna spettacolare sul primo film. Il più titanico, ambizioso e sconvolgente che abbia girato. Perché nel 2009 la storia di Pandora arrivò e per poco non cambiò per sempre il modo di intendere il cinema.

Cameron voleva portare una rivoluzione simile a quella del colore e del sonoro. La tridimensionalità da tempo corteggiata dal cinema. Ci sta riprovando ora e, come vi scrivevamo, vale la pena dargli fiducia. Il primo tentativo fu una moda apprezzata ma solo passeggera. Il film portò con sé tante altre cose gigantesche: un nuovo modo di concepire l’immersività e il world building, la tecnologia e le emozioni nei volti digitali.

Ora per Avatar – La via dell’acqua gli attori hanno dovuto imparare a trattenere il respiro per svariati minuti, lo studio ha dovuto abbracciare il salto della fede per produrre contemporaneamente una saga che, in caso di fallimento, trascinerebbe con sé molte (metaforiche) teste. Ha convinto gli spettatori a ricercare sempre il massimo di quello che la sala può offrire. Ha insomma convinto tutti a non accontentarsi e a rischiare. A puntare al massimo.

È questa la conseguenza migliore del titanismo di Cameron. Va al di là degli infiniti aneddoti, dei costi e degli incassi. La sua più grande vittoria è stata dimostrare che fare cinema può essere assai simile a fare sport. Si può godere un film non solo come prodotto artistico, ma come il tentativo di una squadra di andare oltre i limiti tecnologici, producendo nuove invenzioni e superando le frontiere della visione. Ci sono tante partite da vincere e ancora tanti record da battere.

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