Matrix Resurrections è un disastro, un’opera ombelicale e non necessaria, ostinatamente meta- per mascherare il fatto di non essere altro che una rimasticazione di quanto già detto con la trilogia originale. Le assenze di Hugo Weaving e Laurence Fishburne sono un danno irreparabile all’integrità del franchise e indeboliscono non solo questa storia sciocca e ripetitiva ma, retroattivamente, tutto quello che le sorelle Wachowski avevano detto con i primi tre film. L’assenza di Lilly si nota soprattutto nelle scene d’azione, coreografate senza fantasia e girate e montate ancora peggio, una macchia indelebile su un franchise che aveva costruito la sua fama anche su queste sequenze. E nonostante un primo atto affascinante e con qualche idea degna di nota, i successivi due sono talmente involuti, cervellotici e privi di ritmo e mordente da affossare l’intera opera.

Oppure, se preferite:

Matrix Resurrections è un capolavoro, e l’unico sequel possibile di Matrix nel 2021. Una geniale operazione meta- che mette alla berlina tutti i difetti e le esagerazioni della nostra società iper-connessa e soprattutto iper-profilata, e che ci dimostra che il re è nudo; un inevitabile eterno ritorno che ci fa rituffare nelle atmosfere della trilogia originale, aggiornandole non solo esteticamente ma anche filosoficamente. Un film che ricalca le orme del suo illustre predecessore solo in apparenza, e che in realtà porta il pubblico su strade diverse e ancora inesplorate, ma nel contesto di quelle questioni esistenziali che Lana Wachowski, la vera anima di Matrix, ha sempre messo al centro della sua opera: domande fondamentali sull’identità, sul libero arbitrio, su che cosa sia reale e cosa immaginario, ma anche riflessioni sul sistema – o meglio sul Sistema, con la maiuscola –, e sul modo in cui le infrastrutture, vere o digitali che siano, nelle quali viviamo immersi influenzano il nostro modo di interpretare la realtà e ci tengono nascoste porzioni più o meno ampie della verità.

 

Carrie Ann Moss

Matrix Resurrections è arrivato nel momento sbagliato

Il problema più grosso di Matrix Resurrections è che è uscito nel momento più sbagliato possibile considerato il film che è.

Nulla di quanto abbiamo scritto sopra, sia nel paragrafo-stroncatura sia in quello celebrativo, è falso – nella peggiore delle ipotesi è un’esagerazione adiacente alla realtà, e nella quale si trova comunque almeno un briciolo di verità. È vero che le scene d’azione sono girate, coreografate e montate peggio di quanto lo fossero nella trilogia originale, com’è vero che fermarsi a notare le somiglianze con il primo Matrix è limitante, perché Resurrections prova con tutte le sue forze a raccontare qualcosa di nuovo. È vero che manca Hugo Weaving com’è vero che Keanu Reeves e Carrie-Ann Moss sono un motore potentissimo e sufficiente a mettere in moto l’intera macchina.

In breve: Matrix Resurrections è un film controverso e che per certi versi sfugge a una valutazione unitaria e sintetica. Non è né un miracolo né un disastro, ma in un mondo nel quale la polarizzazione delle opinioni è ormai diventata sistemica e si è allargata ben oltre i confini dello spettro politico per abbracciare qualsiasi campo dello scibile umano non può non trovarsi fuori posto. La frase che segue è una generalizzazione un po’ populista, ma: ormai ogni film che esce appartiene a una di due sole categorie. O è bellissimo o è osceno. O è un capolavoro o è una merda. Non solo non esistono più le mezze stagioni: non esistono nemmeno più le mezze opinioni.

 

NPH

Un film imperfetto

Sembra essere diventato impossibile ammettere che un film (o una serie TV, o un videogioco, o un programma di cucina) possa essere sufficiente ma avere dei problemi, oppure possa essere interessante ma imperfetto, o ancora peggio che all’interno della stessa opera si possano alternare scene da Oscar e altre da telenovela piemontese. Matrix Resurrections, come vi potrà confermare chiunque l’abbia visto indipendentemente dalla sua valutazione complessiva, è un film imperfetto. È il padre di tutti i film imperfetti, al punto che sembra che certe imperfezioni siano state infilate ad arte e in piena consapevolezza. Non ci si spiega altrimenti scene come quella del ritorno del Merovingio in versione homeless, che nel mezzo dell’unico combattimento coreografato un po’ meglio degli altri si inserisce a forza, con il suo look da Willem Dafoe in The Lighthouse, per sbraitare invettive contro bersagli a caso.

Il cinema delle sorelle Wachowski (e anche i loro lavori per la TV) è da sempre urlatissimo ed eccessivo; film di gente che ha tante cose da dire e non ha voglia di perdere tempo a nasconderle dietro strati di significato, metafore e allegorie. Anche Matrix, l’originale, lo era; ma lo era nel momento giusto, in pieno zeitgeist: basti ricordare che è uscito lo stesso anno di un altro film sbraitato e con un’agenda più che esplicita di lotta al sistema come Fight Club. Resurrections arriva con un po’ di ritardo, in un mondo che ha sentito l’influenza del suo predecessore per più di vent’anni – e Matrix ha creato un’intera generazione di gente molto più preparata, e che quindi rimarrà molto meno colpita dai messaggi di Resurrections di quanto le sarebbe successo se li avesse sentiti nel 1999.

 

Matrix Resurrections Neo

L’effetto sorpresa

Ci vogliono poche scene per capire la direzione di Matrix Resurrections, per lo meno quella ideologica se non quella narrativa; in un certo senso è vent’anni che il pubblico si prepara più o meno inconsciamente a questo film. E quindi la prima protezione contro il manicheismo, cioè l’effetto-sorpresa che aveva contribuito in maniera decisiva al successo del primo Matrix, viene meno. Si entra nel film e ci si sente già esperti, perché certe riflessioni, ma anche certi trope, certi archetipi e persino certi stereotipi (si veda la riunione di brainstorming per decidere la direzione del nuovo videogioco della serie Matrix) li vediamo tutti i giorni su Internet, al cinema, in TV, ormai da vent’anni. Se Matrix, il primo, fu per una buona fetta di pubblico un’apertura d’occhi, Resurrections è una conferma e un riassunto dell’ultimo ventennio.

Ecco perché è difficile mantenere serenità, distacco ed equilibrio nel giudizio quando si pensa a Matrix Resurrections. Perché è un film figlio di un substrato culturale digitale e non che ha fatto dell’equilibrio nel giudizio un nemico giurato, una perversione da combattere; è un film che arriva dopo un ventennio di spostamento verso gli estremi, e non ne stiamo facendo solo un discorso politico ma quasi esistenziale. È tutto bellissimo o tutto bruttissimo, geniale od osceno, e diventa difficile valutare un film così complesso e per certi versi respingente come Resurrections senza scadere nell’eccesso.

 

Naiobi

Ci vorrà tempo

L’invito non è ovviamente a cambiare idea e a pensare che l’ultimo Matrix sia indiscutibilmente un film da 6,5. Avete tutto il diritto di credere che faccia schifo e non superi il 3, o che sia un capolavoro da 9 pieno. Il nostro consiglio è solo quello di aspettare a dare un giudizio, di provare a smontarlo e capire non solo cosa funziona e cosa no, ma anche perché; perché certe cose esistono anche se sembrano orribilmente fuori posto, trascurabili, superflue o dannose, per esempio. Perché Keanu Reeves in un film che si chiama Matrix non impugna mai neanche una pistola. Perché Lana Wachowski ha pensato che richiamare Lambert Wilson fosse una buona idea.

Prendetela come una sfida. Resurrections è facilissimo da bocciare senza appello, e altrettanto facile da amare se del franchise amate soprattutto il lato filosofico/esistenzialista. Più difficile è trattarlo come un prodotto degno di analisi o per lo meno di un po’ di prudenza nei giudizi. Difficilissimo farlo nel 2022, dove è tutto un capolavoro o una merda. Non impossibile, però. Se poi anche dopo averci riflettuto al di là delle impressioni di pancia continua a sembrarvi impresentabile e impossibile da salvare, vedetela così: quantomeno ci avete provato, e la vostra bocciatura suonerà ancora più convincente – che a modo suo è una conquista.

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