È arrivato nei cinema italiani Beau ha paura, ultimo film di Ari Aster.

Presentato come una commedia nera, il film è il terzo lungometraggio del regista statunitense dopo Hereditary – le origini del male e Midsommar – il villaggio dei dannati, film che lo hanno consacrato come una delle voci più interessanti dell’horror americano degli ultimi anni.

A occupare il podio insieme ad Aster troviamo altri due registi, tutti alla terza pellicola: Jordan Peele e Robert Eggers.

Cosa li rende così innovativi e cosa hanno in comune (a parte l’essere nati tutti e tre a New York)? Proviamo a conoscerli meglio.

Midsommar

Ari Aster

Classe 1986 esordisce alla regia nel 2018 con Hereditary – le origini del male con protagonisti Toni Colette e Alex Wolff. Il film riscuote ottime critiche. A questo segue nel 2019 Midsommar – il villaggio dei dannati che consacra definitivamente il regista e l’attrice Florence Pugh.

Quest’ultima pellicola si inserisce a pieno titolo (o forse no) nel sotto genere del folk horror, film che riprendono e attualizzano antiche tradizioni e riti legati al paese in cui sono ambientati. In questo caso a essere rappresentato è il rito di mezz’estate svedese.

Aster in entrambe le pellicole sfrutta il genere horror per indagare gli orrori in seno alla famiglia e alla società contemporanea. Così il paganesimo scandinavo e lo spiritismo diventano una scusa per sviscerare le paure dell’America odierna e le sue storture relazionali. In Midsommar infatti a uscirne condannata non è tanto la barbarie dei rituali pagani, quanto il rapporto malsano tra i due protagonisti.

midsommar

Jordan Peele

Nato professionalmente come comico, Peele esordisce alla regia con l’acclamato Scappa – Get Out (2017) che lo porta a vincere un premio Oscar alla miglior sceneggiatura originale.

Al primo film seguono altre due pellicole: Noi (2019) e Nope (2022).

La vena comica di Peele è evidente nel suo primo film che mischia thriller e umorismo sullo sfondo di un tema che costituisce una costante per il regista: il razzismo. Tutte e tre le pellicole infatti, pur trattando tematiche diverse, coinvolgono sempre a vari livelli la componente razziale. Dall’immagine inconsueta per gli spettatori occidentali della famiglia nera in vacanza di Noi alla storia del fantino nero di Nope per tornare all’esordio con un irriverente smascheramento dell’ipocrisia democratica statunitense. Peele sceglie infatti di non “giocare facile” condannando l’America bianca di Trump (ricordiamoci che il film è uscito nel 2017), ma di colpire basso. A essere messi in ridicolo e al patibolo sono i cosiddetti liberal, quelli che “avrebbero votato Obama per un terzo mandato”.

Facendo ricorso da un sapiente citazionismo, Peele recupera e rinvigorisce il genere horror, costruendo una perfetta sintesi tra tensione e politica. Razzismo, lotta di classe, culto dell’immagine costituiscono fino ad ora i tre temi cardine della sua opera.  

The Lighthouse

Robert Eggers

Concludiamo con l’ultimo regista sul podio. Dopo aver esordito nel 2015 con The Witch che lancia la carriera di Anya Taylor-Joy, Eggers realizza The Lightouse (2019) e The Northman (2022).

Maestro dei dettagli, Eggers costruisce le sue opere (soprattutto le prime due) giocando su una lentissima ma crescente tensione. A essere messe in scena sono le dinamiche tra i personaggi, macchiate dal sospetto e dalla paranoia che nascono soprattutto a causa di un isolamento forzato e ostile. In The Witch, ambientato nel 1630, troviamo una famiglia del New England cacciata dalla comunità mentre in The Lighthouse i protagonisti sono due uomini che vivono in un isolotto in mezzo al mare.

Meno riuscito risulta invece The Northman che è stato un mezzo flop, ma siamo pronti a rivedere Eggers alla prova con Nosferatu.

Conclusioni

Dopo anni di film splatter e jump scares, Aster, Peele ed Eggers sono arrivati a rifondere di nuova linfa il genere horror.

Eggers è il regista meno “horror” dei tre e quello più squisitamente simbolico. Puntando su una costante tensione, arriva a inserire elementi horror all’interno di quelli che sono veri e propri drammi storici. Gioca infatti con il concetto di soprannaturale, senza mai davvero rendere esplicita la sua presenza. E se fosse tutto solo nella testa dei personaggi?

Peele, come già visto, inserisce spesso momenti comici ed è il più politico dei tre. La sua attenzione punta alla messa a nudo delle ipocrisie e delle storture della società americana.

Aster si concentra invece sui rapporti tra gli individui. Sfruttando il sovrannaturale e giocando con un’ambientazione inquietante, restituisce allo spettatore un ritratto impietoso delle sue stesse paure.

Nonostante tutti e tre peschino dal bacino immenso del genere, costruendo un panorama visivo ricco di citazioni, evitano il cliché. Tenendosi lontani dallo stereotipo (se non in maniera consapevole), Aster, Peele ed Eggers tornano all’elemento basilare che fa apprezzare l’horror: l’aspetto psicologico.

E come nella migliore tradizione del genere, il loro interesse principale non è quello di spaventare o disgustare lo spettatore, ma trasmettere un messaggio. Che siano zombie, streghe o esorcisti, l’horror ha ancora tanto da dire.

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