Ci sono buoni film che invecchiano presto, partono bene e nel giro di qualche anno peggiorano. Non sono più attuali, cambia il contesto e smettono di graffiare. Altri invece sono proprio sbagliati sin da subito. Songbird è entrambe le cose: un brutto film con data di scadenza. Potete verificarlo guardandolo su Amazon Prime Video.

Si può provare un filo di tenerezza per questo instant movie pensato e girato durante il primo lockdown? Ma certo! In quel momento gli artisti avevano bisogno di lavorare (poco le grandi star, molto le maestranze e chi non aveva una carriera solida) e il pubblico aveva bisogno di intrattenimento. Era scontato che un film come Songbird sarebbe arrivato come incontro prefetto tra due esigenze.

Stupisce poco che sia stato Michael Bay a capire che il momento storico in cui tutti eravamo costretti all’immobilità, poteva essere perfetto per creare con la sua squadra un action nelle città vuote. Songbird parte infatti da uno scenario simile a quello della pandemia reale. Siamo in un futuro prossimo (il 2024) in cui un ridicolo Covid-23 (numerazione da sequel) ha costretto la popolazione a quarantene rigidissime. 

Che bisogno c’era di fare una distopia quando la realtà stessa sembrava distopica mentre la si viveva? Probabilmente perché al regista Adam Mason premeva sottolineare quanto ci si sentisse imprigionati, in ansia perenne, e con un futuro incerto. Non trova mai un’immagine efficace per dirlo e, in questo progetto pur ridotto all’osso nei mezzi e nella durata, il suo discorso diventa inesorabilmente ridondante. Riflessioni da bar o da social network perché, oltre a ribadire l’ovvio, Songbird si getta a capofitto in un cospirazionismo da poco. Con meno fantasia rispetto ai veri teorici del complotto, usa “poteri forti“ che vivono in case di lusso, gente arricchita e senza scrupoli, come villain. I giovani imprigionati e i rider liberi sono gli unici che portano avanti i valori e l’economia della nazione. Un film populista.

Ma l’azione com’è? 

Adam Mason non si è concesso molto tempo per lavorare sulla sceneggiatura e si vede. Prende quattro storie e le intreccia un po’ alla buona. La più interessante è quella di un ragazzo immune al virus che se ne va in giro per la città vuota a consegnare pacchi alla gente. La sua ragazza vive in un condominio contaminato e presto verrà portata in un centro di quarantena da cui nessuno torna (inutile sottolineare quanto sia inelegante la vaga analogia con i campi di sterminio). 

In una casa super tecnologica, inspiegabilmente dato che lo sviluppo si dovrebbe essere bloccato con l’inizio della pandemia, vivono un discografico senza scrupoli, sua moglie influencer e la figlia immunodepressa. William Griffin (Bradley Whitford) tiene sotto scacco una giovane cantante. La sfrutta sessualmente con la scusa di farle ottenere un contratto. Lei è però amica di un soldato disabile che, grazie a un drone, osserva tutta la città. Scopriremo più in là che quel drone gli permette anche di essere una sorta di giustiziere invisibile. Infine c’è l’uomo che si occupa della movimentazione delle consegne, Lester (Craig Robinson). Un personaggio perennemente dietro la scrivania che grazie al tracciamento GPS assolverà al suo compito di facilitatore della trama. 

Songbird

Posto che, oltre all’indignazione contro il lockdown non vuole trasmettere molto, Songbird fatica a far interagire anche queste poche idee. Poco si può pretendere sotto il profilo della messa in scena, anche se Michael Bay stesso ha dato il suo contributo girando alcune sequenze. Come detto, si può provare una certa tenerezza ripensando al periodo in cui è stato girato e considerando le difficoltà dei primi set con dei protocolli molto rigidi. Limitazioni che si vedono tutte.

I personaggi stanno lontani tra di loro per motivi di storia, ma anche quando dovrebbero stare vicini si percepisce l’ansia degli attori di mantenere una distanza di sicurezza. L’azione è confusa, girata male, senza inventiva. I pochi mezzi non si fanno mai stimolo per qualche soluzione diversa o creativa. Si cerca di compensare questa mancanza di godimento nell’azione, puntando tutto sulle immagini patinate “alla Michael Bay”. Pur imitandolo, Songbird non riesce essere appagante o travolgente allo stesso modo. Durante il “bayhem” l’esplosione è estetica. Qui è un qualcosa di ricercato, atteso, e non pervenuto.

Sfruttare male il momento buono

Mentre Adam Mason metteva insieme Songbird, nelle case di tutto il mondo si guardava Contagion. Il film di Steven Soderbergh del 2011 su una pandemia iniziata in un villaggio cinese. Il film è pazzesco nell’elencare con precisione tutte le fasi di diffusione della pandemia e le realistiche contromisure adottate. Il paragone tra i due è ingiusto, sono generi diversi e hanno ambizioni misurabili su differenti unità di misura. Però facendolo salta all’occhio come Songbird sembri girato molto prima della vera pandemia e Contagion dopo, a cose fatte e già rielaborate collettivamente.

Nel 2011 Soderbergh filmava infatti tutte le emozioni che si sarebbero vissute nel 2020 molto meglio di questo film prodotto in quell’anno. Profetico? No, semplicemente un’opera fatta con le necessarie ricerche, studiando, approfondendo. Aveva utilizzato una situazione ritenuta a quel tempo plausibile ma percepita come fantascientifica, per puntare l’obiettivo in realtà sui vizi e le virtù che fanno funzionare il mondo. 

Songbird invece non ha nemmeno in mente di essere universale, di essere vedibile anche una volta tolte le mascherine. Una data di scadenza autoimposta quindi, che non aiuta un film già sbagliato di suo. È stato girato in un periodo in cui nessuno nell’industria aveva niente da perdere.

Anche chi non l’ha visto non si è perso niente.

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