The Bourne Identity è stato come un insegnante della scuola primaria che ha introdotto una nuova generazione nel mondo dell’azione. Ecco come ha fatto.

L’assassino più pericoloso del mondo viene pescato in mare da dei pescatori italiani che tra improperi di ogni tipo si lamentano dell’imprevisto. Uno dice all’altro, tranquillamente, “non hai mai visto un morto?”. Poi mettono il corpo di Jason Bourne su un tavolo, tutti tornano alle loro faccende tranne uno. Si è accorto che l’uomo non è morto e lo opera togliendogli i proiettili conficcati nella schiena. Gli salva la vita, gli dà dei soldi. Sono sufficienti per andare in Svizzera, gli dice.

È una scena iniziale esilarante, che suona grottesca e assurda solo a noi. Americanissima e legittima per tutti gli altri. Apre con un sorriso una saga che di umorismo ne avrà ben poco e che non toccherà mai più questa ingenuità. La penna di Robert Ludlum è adattata da Tony Gilroy in modo asciutto e rigoroso: per lo meno nei primi tre film. Il thriller prende il sopravvento e l’azione diventa praticamente una procedura di uomini preparatissimi. Gli agenti si muovono come teleguidati, sicurissimi, precisi, senza sbavature e in maniera integrata con tutto il resto. Doug Liman evita le accelerate improvvise, sfuma invece le sequenze di dialogo e le porta nell’azione, che a sua volta scompare gradualmente e ritorna ad uno stato di quiete. Parlare è come muoversi, muoversi è come combattere, combattere è come scoprire qualcosa in più.

Ricordiamo Jason Bourne

Il problema che affligge Jason Bourne è di essere il migliore in quello che fa… senza sapere quello di cui si occupa. The Bourne Identity è un film in cui il protagonista è lo spettatore di se stesso. Perché dopo aver salutato i pescatori Italiani, che non hanno gran che interesse a capire chi abbiano tirato su dalle acque, inizia per l’agente segreto un incubo dovuto, appunto, alla sua identità. Lui si osserva – stupito – avere delle reazioni fulminee di cui non sapeva di essere capace. Spiega spesso ad alta voce quello che fa automaticamente (ha studiato tutti i presenti di un diner, conosce ogni via di fuga, ha individuato le potenziali minacce) e non sa perché lo fa. È inseguito, ma non sa da chi né perché. Il film si srotola di fronte e noi e anche a lui. Fondamentale è la sequenza in cui, in banca, scopre che i suoi averi sono: un sacco di soldi, una pistola, e numerosi passaporti.

Arrivati a questo punto, non importa quante volte si sia già visto The Bourne Identity, c’è un gesto perfetto che da lì in poi trascina nel film. È Matt Damon che guarda la pistola inorridito e la ripone nella cassetta prendendosi invece i soldi e i documenti. Mette via cioè l’oggetto che più gli servirà per sopravvivere per tutto il resto del film. Lo farà ancora, quando avrà tra le mani un’arma, perché quella dello spietato assassino è un’immagine che non corrisponde a quella che si è fatto con la nuova vita. Un modo di raccontare un personaggio con i suoi gesti straordinario.

The Bourne Identity (2002)

The Bourne Identity e il nuovo millennio

The Bourne Identity è figlio della sua epoca, un 2002 in cui era ancora legittimo per le donne innamorarsi di loschi figuri che entrano nella loro vita e da cui chiunque scapperebbe. Marie viene praticamente presa in ostaggio con tutta la grazia possibile. Il fuggitivo le chiede se può avere un passaggio da lei, in cambio le dà un sacco di soldi e uno sguardo affascinante. Lui, poverino, non sa nulla del guaio in cui si è infilato. Ma lei, ancora peggio, diventa ricercata, e rischia più volte la vita. Il premio per questa disavventura è l’amore. Più o meno. Poveretta.

Doug Liman rompe la regola dei 180 gradi per aumentare la confusione, ma anche la dinamica di scene d’azione girate tutte con la camera a mano. Nulla in confronto di quello che farà Paul Greengrass due anni dopo con The Bourne Supremacy che va visto con del Travelgum a portata di mano. The Bourne Identity è servito anche a questo: ha fatto diventare la saga un luogo di perfezionamento dell’azione di quegli anni. Un po’ quello che fu John Wick per il decennio dopo e Die Hard per quello prima. Un luogo dove i registi dovevano curare al massimo l’aspetto tensivo: quanto riuscivano cioè a mantenere alto il ritmo e la tensione costante.

All’annuncio del casting nessuno aveva dato fiducia a Matt Damon. Faccia da bravo ragazzo, distante dai duri anni ’80, si è invece rivelato fisicamente perfetto. Meno performante nei duetti drammatici con Franka Potente, dove sia i litigi che le esplosioni di romanticismo stridono parecchio rispetto alla precisione del resto.

In fuga dal passato

The Bourne Identity è un film di fughe. In questo caso Matt Damon è particolarmente felice di essere inseguito niente di meno che da Brian Cox e Chris Cooper, Jason Bourne un po’ meno. Senza incontrarsi quasi mai questi due antagonisti danno spessore alla vicenda principale. Sono le loro reazioni di tensione e sincero spavento al nome di Bourne che lo rendono minaccioso e credibile. Un gran favore fatto da due attori di spessore.

Quello che oggi risulta meno interessante è la sottotrama geopolitica. Quello che è stato fatto fare a Bourne, i piani di assassinio del vaghissimo dittatore in esilio Nykwana Wombosi. Ogni volta che appare in scena si fa fatica a trovare un personaggio vero sotto tutti gli stereotipi. Male, ma poteva andare peggio. Perché The Bourne Identity mostra i suoi anni anche nelle scenografie, eppure sono proprio queste a farlo invecchiare bene. Automobili che fanno sorridere per come le percepiamo antiche (ma già all’epoca non erano delle più nuove) e strumenti di intelligence superati. È questo il bello di un periodo storico in cui la tecnologia permetteva di fare bene l’azione. Perché non c’erano strumenti sufficienti per rendere comoda la vita dei combattenti (oggi potrebbero fare un inseguimento con la guida assistita) e quell’inizio di sorveglianza diffusa e cellulari che permette di saltare subito ai punti più movimentati. 

The Bourne Identity continua ad essere un buon film capace di catturare l’attenzione e tenerla fino alla fine. E soprattutto lo si ricorda come un maestro. È stato lui, insieme ai suoi seguiti, ad insegnare ad una generazione ad amare l’azione, le botte e la camera a mano.

Per iniziare la lezione, si può trovare il film su Amazon Prime Video.

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