Nella nostra retrospettiva sugli archi narrativi di Game of Thrones, Jon Snow occupa un posto particolare e anche abbastanza sofferto. Questo perché fin dall’inizio il figlio bastardo di Ned Stark interpretato da Kit Harington ha svolto un ruolo sì essenziale, ma anche anomalo nelle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco. Anche in una saga come quella di Game of Thrones, dove gli archetipi tradizionali del fantasy sono stati spesso sovvertiti o travolti in nome di un maggiore realismo e di una narrativa più cruda, Jon Snow è rimasto una ‘mosca bianca’: ha continuato fedelmente e ostinatamente a svolgere un ruolo eroico di stampo più tradizionale, se non addirittura archetipale o fiabesco: il personaggio essenzialmente positivo ma di umili origini, relegato ai ranghi più bassi della casa d’appartenenza se non addirittura dell’intera società, che man mano cresce in esperienza fino a raggiungere un ruolo e un grado di potere elevato pur conservando la sua moralità e la sua positività relativamente integre. È proprio questo il cammino di Jon Snow attraverso la saga del Trono, che arriva a morire e rinascere (e non in senso metaforico) per completare il suo processo di crescita. Ma ancora una volta, le ultime stagioni deviano da un percorso che, più che in molti altri personaggi, sembrava già chiaro e scritto. Un bene o un male? Vediamo.

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Una Partenza in Pole Position

Abbiamo visto che è accaduto con molti altri personaggi, lo ripetiamo anche per Jon Snow: giunto al fine della sesta stagione, il risorto Guardiano della Notte si trova in una posizione ottimale, all’apice del suo cammino. Riportato in vita dalla magia di Melisandre, ha dismesso i panni di Guardiano della Notte e si è ricongiunto col resto degli Stark, guidando le forze del Nord, pur con qualche difficoltà, alla riconquista di Grande Inverno e alla sconfitta dell’odiato Ramsay Bolton. Basterebbe e avanzerebbe per rallegrarsi, ma come ricompensa aggiuntiva per le traversie passate e le imprese presenti giunge la nomina a Re del Nord, carica che gli altri nobili gli conferiscono per acclamazione, e anche se a sua insaputa, su di lui già aleggia il retaggio dei sangue dei Targaryen da riscattare. Insomma, Jon Snow affronta si presenta ai conflitti finali in pompa magna, e con numerose carte da giocare. La sua strada però sta per incrociarsi con due figure che manderanno all’aria la sua partita: Arya Stark e Daenerys Targaryen.

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Lo “Scippo” di Arya

Partiamo dal primo problema: la linea narrativa di Jon Snow è stata legata, se non dall’inizio, quanto meno dalle primissime fasi, alla lotta contro gli Estranei, successivamente incarnatisi nella figura del Re della Notte, e alla loro lenta ma inesorabile avanzata verso le terre civilizzate di Westeros. Le vicende e i segni che accompagnano il cammino di Jon Snow in tal senso sono inequivocabili, prima fra tutte l’avvincente e crudele battaglia di Hardhome che annuncia a tutti gli effetti quello che sarà uno scontro futuro e fatale tra il Lord Comandante della Barriera e il sovrano delle orde dei non morti. Scontro che non avverrà mai perché in nome della maledetta necessità di “sovvertire le aspettative” a tutti gli effetti, sarà l’invincibile Arya Stark a chiudere – fin troppo rapidamente – quell’essenziale filone narrativo con un colpo di pugnale mentre Snow è affaccendato altrove.

Difficile trovare parole più esplicite di quelle dell’autore dei romanzi George R.R. Martin sull’inopportunità di sovvertire le aspettative a tutti i costi. In una sua intervista ormai celebre, Martin illustra la metafora nemmeno troppo velata della struttura di un libro giallo:

Se costruisci un libro giallo affinché l’assassino sia il maggiordomo, ma a metà della storia i lettori capiscono che l’assassino è lui, non puoi cambiare strada a metà percorso e dire che allora l’assassina è la governante, perché tutti gli indizi che avevi già messo nella storia e che indicavano il maggiordomo non combaceranno più con gli eventi.

Il riferimento al destino di Jon Snow ci pare abbastanza telegrafato. Soprattutto la sua resurrezione per mano del Dio Rosso sembra un elemento inequivocabile: Snow aveva un ruolo cruciale da svolgere nella lotta contro le orde degli Estranei. Privato di quel ruolo nelle fasi finali, la stessa resurrezione perde di significato e non ha più alcun senso. Alcuni obiettano che il ruolo cruciale di Jon Snow è in realtà quello di fermare la neonata dittatura di un’impazzita Daenerys Targaryen, e che gli viene concesso di risorgere a quello scopo, ma è una pezza che ci fa storcere il naso. La minaccia soprannaturale degli Estranei giustifica un intervento divino salvifico. La minaccia dittatoriale di Daenerys è una minaccia terrena, “politica”: se gli dei si dovessero sentire in dovere di intervenire a colpi di resurrezione ogni volta che un tiranno o un dittatore ha tentato un colpo di mano a Westeros, non farebbero altro che riportare in vita l’opposizione.

C’è poco da fare: per scelte poco chiare o quanto meno arbitrarie, a Snow viene sottratta la chiusura naturale del suo arco narrativo. Ma ovviamente, non finisce qui.

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La Subordinazione a Daenerys

Non sappiamo e forse non sapremo mai cosa porterà Jon Snow e Daenerys a intrecciare una relazione nel ciclo di romanzi. C’è da sperare che le motivazioni e la ‘chimica’ tra i due personaggi siano più forti e convincenti di come la relazione ci è stata proposta nella serie televisiva. Il rapporto tra i due, come molte altre cose nelle stagioni finali della serie, è poco motivato e risponde più a esigenze di natura hollyvoodiana e ‘glamour’: sono gli eroi, sono belli, sono cool: mettiamoli insieme.

Se la cosa creerà qualche problema alla Madre dei Draghi (che però avrà altro a cui pensare), per Jon Snow è la tomba di qualsiasi sviluppo autonomo o iniziativa personale. Il Re del Nord non ci metterà troppo a “bend the knee”, a piegare il ginocchio di fronte alla conquistatrice venuta dall’est e passerà buona parte degli episodi finali a ripetere che “lei è la mia regina” e che lui “il trono non lo vuole”, tormentoni che hanno inevitabilmente dato origine ad altrettanti meme poco lusinghieri nei confronti del povero Snow.

Intendiamoci: la fedeltà all’alleata/regina scelta e una refrattarietà di fondo ai ruoli di potere e all’arena politica non sono sbagliati per un personaggio come Jon Snow. Sono coerenti con la sua natura di buon cuore e la sua semplicità, e in contesti migliori avrebbero potuto emergere come virtù positive e decisive. Nel contesto che viene a crearsi risultano per lo più avvilenti perché sono le ultime espressioni rimaste a un personaggio che non sa più dove andare o cosa fare. Scalzato da Arya nella risoluzione della lotta contro i non morti e relegato alle manovre di conquista di Daenerys, Snow può solo procedere al seguito della Regina dei Draghi in ruoli e mansioni passive o di ripiego, almeno fino al discusso finale.

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Finale Controverso, Riscatto in Extremis?

Ha fatto, fa e farà discutere il finale della relazione tra Jon e Daenerys, che sotto molti aspetti sugella anche la fine della vicenda principale di Game of Thrones: l’assassinio a tradimento della moglie/amante nella sala del trono prima che quest’ultima, ormai persa nei suoi deliri di onnipotenza e di conquista, possa scatenare i suoi eserciti contro il resto del continente.

Anche qui vale la pena di mettere qualche puntino sulle i: ammesso, ma non concesso, che la pazzia di Daenerys sia un dato di fatto irreversibile (e quello è il proverbiale elefante nella stanza che prima o poi dovremo affrontare direttamente), è in un certo senso coerente e plausibile che il personaggio di Jon faccia la scelta che fa. Purtroppo è subordinato (anche in questo) alle scelte e agli sviluppi narrativi di Dany, che sono tutt’altro che convincenti o universalmente accettati dal pubblico, e così anche in questo, Snow si ritrova in balia di una situazione e di un ruolo forzati e cucitigli addosso che stridono con il ritrovato Re del Nord padrone del proprio destino e simbolo di una ritrovata indipendenza come ci si era presentato all’inizio della fase finale.

C’è una ‘transizione in nero’ che ci trasporta dal delitto al processo che è quasi una confessione di incapacità nell’affrontare l’argomento di cosa sia successo subito dopo l’assassinio di Daenerys e sul perché Snow sia ancora in vita e processabile (poco prima nel corso dello stesso episodio, abbiamo visto gli Immacolati sgozzare i soldati Lannister che si rifiutavano di giurare fedeltà alla nuova regina… cosa avrà fermato la mano dei suddetti nel momento in cui si sono ritrovati tra le mani l’assassino reo confesso di Daenerys?), e il cammino di Snow giunge finalmente al termine.

Una – piccolissima – lancia la spezziamo a favore della conclusione di Jon Snow, e cioè che le ultimissime battute della sua storia sembrano ritrovare un minimo di senso e di poesia: la vita nelle terre fredde del Nord insieme al Popolo Libero, lontano dalle vicende politiche e dagli intrighi di corte dei vari casati, sembrano una sorta di lieto fine, anche se agrodolce, e in qualche modo adatto al personaggio e alle sue vicende. Con fatica e dopo avere percorso un cammino che definire accidentato è dir poco, il cerchio si chiude in qualche modo con dignità, e questo è un punto che il buon Jon Snow può riportare a suo favore alla fine della storia. Uno dei casi in cui il punto d’arrivo non è inappropriato, ma il percorso fatto per arrivarci è indigesto. Quasi un ritornello per molti dei nostri personaggi preferiti.

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