Forse non è esagerato dire che il personaggio di Tyrion Lannister rappresenta il cuore di Game of Thrones: è un personaggio con cui è facile identificarsi e per cui fare il tifo, ma allo stesso tempo è un personaggio completamente immerso negli aspetti più crudi e ostili dell’ambientazione. Si muove tra intrighi politici, contrasti e faide familiari, manovre militari e tormenti personali affrontando il tutto con il giusto equilibrio tra un cinismo macchiato di umanità e un’umanità temprata dal pragmatismo. È inoltre il “crocevia” dove praticamente tutti o quasi tutti i personaggi della serie prima o poi si incontrano e si confrontano, e ognuno lascia qualcosa al Folletto e ne prende qualcosa in cambio durante il suo percorso. Quindi in questo caso, più che in molti altri, esaminare la storia di Tyrion è esaminare un po’ la storia di tutto Game of Thrones.

Nella prima metà della stagione, quella che beneficia dei romanzi originali come riferimento, Tyrion svetta soprattutto perché si muove nel suo habitat naturale, quello di Approdo del Re e della corte reale. Non che la vita per lui sia facile, vista la difficile situazione familiare che lo riguarda (può contare su un limitato sostegno da parte del solo Jaime, ma i rapporti con tutti gli altri familiari sono conflittuali), e visti anche i complicatissimi intrighi politici in cui deve destreggiarsi e i consumati giocatori con cui deve competere. Nondimeno, fintanto che la sua missione è quella di “giocare al gioco del Trono”, il folletto se la cava piuttosto bene. Per citare una celebre frase di Varys, un uomo molto piccolo può proiettare un’ombra molto lunga, e questo è quello che Tyrion fa, almeno fino al fatidico processo per la morte di Joffrey che ne segnerà la definitiva caduta in disgrazia.

Segue un prolungato e confuso periodo di transizione che lo vede cambiare continente, fino all’arrivo alla corte di Daenerys, dove riotterrà la carica perduta di Primo Cavaliere al servizio di una nuova sovrana, assieme al riconoscimento e alla considerazione che aveva perduto nella vita precedente. Facendo un balzo in avanti, potremmo anticipare che si ritroverà a fungere da Primo Cavaliere anche alla fine della storia, sotto il regno di Bran lo Spezzato, a riprova che, come novello Talleyrand di Westeros, il suo acume politico gli ha permesso di attraversare più o meno indenne ben tre regimi diversi e opposti tra loro. Tuttavia, ancora una volta, se il traguardo in sé è relativamente soddisfacente e appropriato, il percorso per arrivarci fa inarcare più di un sopracciglio.

tyrion lannister

Un Pessimo Consigliere

Anche Tyrion segue il percorso che ha accomunato molti degli altri personaggi: arriva al fatidico appuntamento del finale della sesta stagione all’apice del potenziale. Entrato a pieno titolo nell’entourage di Daenerys Targaryen, salpa alla volta del Continente Occidentale a capo di un’armata senza precedenti in quella che è una delle più epiche e mirabolanti chiusure di stagione in assoluto. L’abbinamento, per dirla all’anglosassone, “is made in Heaven”, è voluto dal cielo: Daenerys ha la potenza e il carisma ma non l’esperienza, Tyrion ha l’esperienza e l’intelligenza, ma non il potere… una volta che i due sono entrati in combo, non dovrebbe essercene più per nessuno. Scopriamo gradualmente e amaramente che così non è.

Tyrion fa parte, assieme a Varys e a Baelish, della “trilogia” di personaggi intelligenti inspiegabilmente instupiditi nel corso delle due ultime stagioni. La spiegazione più benevola vorrebbe essere che nel momento in cui si arriva al dunque e gli scontri militari diretti prendono il posto degli intrighi di corte, i personaggi più “politici” si ritrovano comunque in svantaggio, ma è un’obiezione che non regge in un mondo in cui l’arguzia strategica ha vinto fior di battaglie (ricordiamo le Acque Nere e la disfatta di Stannis proprio per mano di Tyrion?). Quella più amara ma più plausibile è che i personaggi più complessi sono più scomodi da gestire in una fase in cui le trame si sono ipersemplificate e spettacolarizzate. Se però Baelish e Varys, instupidendosi, fanno essenzialmente danni solo a se stessi agevolando le loro rispettive uscite di scena, Tyrion fa danni irreparabili con tutti quelli che gli stanno intorno. Elenchiamo nell’ordine (ma forse ce ne dimentichiamo qualcuna):

  • Il consiglio di non attaccare direttamente Approdo del Re col grosso delle forze temporeggiando, scelta che nei tempi lunghi si rivelerà letale per quella che altrimenti sarebbe stata una vittoria rapida e annunciata.
  • L’idea che ha buone probabilità di vincere la palma come la peggiore nella storia del Fantasy, vale a dire quella di andare oltre la barriera a catturare un zombi da portare ad Approdo del Re per convincere Cersei a fare fronte comune (e sappiamo tutti sia che esito sortisce, sia i danni collaterali che comporta il tentativo)
  • L’idea di nascondere i civili di Grande Inverno nelle cripte sotterranee, a comoda portata di mano dei non morti che saranno rianimati dal Re della Notte
  • La denuncia del tradimento di Varys nei confronti di Daenerys, che condannerà l’uomo a morte, salvo poi fare dietro front un episodio e mezzo dopo e sposare la causa del defunto Ragno Tessitore ai danni della neodittatrice.
  • La liberazione di Jaime Lannister fatto prigioniero dall’esercito alle porte di Approdo del Re, in un poco originale remake di quanto fatto da Catelyn Stark in circostanze analoghe.
  • La proposta, inspiegabilmente accettata di buon grado da tutti, di nominare re Bran Stark perché è “quello che ha la storia migliore.”
tyrion lannister

Il Portavoce dei Re

Un po’ troppo per credere che l’alcol o la vita dissoluta abbiano compromesso definitivamente le cellule grigie del Folletto. La spiegazione più plausibile è che, ahimè, Tyrion è un personaggio molto popolare e che il suo interprete, Peter Dinklage, è un ottimo attore. E così il Folletto è stato semplicemente scelto come propositore e portavoce delle scelte più necessarie per far progredire la trama secondo gli intenti degli showrunner nel tentativo di renderle più plausibili e “digeribili”. Ci troviamo purtroppo di fronte a un antico dilemma che ha messo in crisi varie opere narrative di diverso genere, vengono prima la trama o la caratterizzazione dei personaggi? E quando l’una prevarica l’altra, che succede? In Game of Thrones, la risposta è abbastanza chiara: quando i personaggi sono coerenti con se stessi, la trama quasi “si scrive da sé”: Ned Stark, per la sua rigidità e per il suo irremovibile senso dell’onore, finisce per decretare la sua stessa fine, ma si tratta di uno sviluppo di trama che, pur cogliendo di sorpresa per la sua attuazione, è coerente e plausibile con le motivazioni e i caratteri dei personaggi coinvolti ed è difficilmente contestabile. Quando invece i personaggi deviano o snaturano il loro carattere e le loro motivazioni per esigenze di sceneggiatura, l’incoerenza spicca vistosamente (si pensi a Petyr Baelish che vende Sansa Stark ai Bolton perché altrimenti il personaggio non saprebbe che fare in quella stagione e quella trama spetterebbe in realtà a un personaggio minore).

Ecco, il poco felice destino di Tyrion nelle fasi finali di Game of Thrones è quello di essere ancora una volta Primo Cavaliere, ma stavolta di Benioff e Weiss, e di assicurarsi che i loro editti vengano messi in atto anche a costo della plausibilità personale e di quelli che lo circondano. Forse, tutto sommato, essere Primo Cavaliere di Tywin Lannister non era poi così male!

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