Per l’uscita di A Classic Horror Story, il film di Netflix presentato al festival di Taormina, abbiamo sentito i registi e realizzato due interviste, una sullo stato del cinema horror in Italia, la difficoltà nel farne uno e i molti limiti che i registi incontrano e un’altra, questa, piena di spoiler che non vorreste sapere prima di guardarlo.

Roberto De Feo e Paolo Strippoli parlano qui a ruota libera del terzo atto del film, del twist e di come sia nata questa idea.

Come mai A Classic Horror Story ha due registi?

ROBERTO DE FEO: “Mentre giravo The Nest, Netflix decise di far partire A Classic Horror Story, addirittura lo volevano girare proprio subito dopo il montaggio di The Nest, purtroppo non ero disponibile in quel momento. Quindi, stimando molto Paolo per i suoi corti, ho suggerito a Netflix di affidarlo a lui. Poi il film è stato in realtà rinviato e a quel punto, visto che Paolo aveva iniziato a lavorarci migliorando la storia, abbiamo deciso di unire le forze, lavorarci insieme e firmarlo insieme. E ci siamo trovati bene, lo rifaremmo”.

Migliorato la storia come?

RDF: “Inizialmente era un horror classico, non c’era l’idea del set cinematografico, della mafia e quindi tutto il twist finale, erano solo accenni. Il mio film era più vicino alla cinematografia americana. E anche la leggenda di Ostro, Mastrosso e Carcagnosso non c’era. Insomma Paolo e gli altri hanno cambiato tutto il terzo atto dando al film un altro respiro. Più più globale proprio perché locale”.

Erano tanti anni che non vedevo un film italiano criticare così duramente il cinema italiano. Dai produttori fino agli spettatori. L’avete potuto girare così perché c’era Netflix? Altri ve l’avrebbero lasciato fare?

RDF: “Io ringrazio Colorado! Quando Fabrizio, il regista, dice: “…e poi vi andate a vedere le solite commedie”, il riferimento ovviamente è anche ai film che produce Colorado. E nonostante abbiano visto e approvato tutta la sceneggiatura non ci hanno detto mai niente. Non solo siamo stati liberi ma ci siamo meravigliati della libertà che ci hanno dato nel criticare il cinema italiano. E poi sì critichiamo anche quel tipo spettatore che nemmeno vede il film e già getta merda sugli horror italiani”.

PAOLO STRIPPOLI: “Ma la getta anche sui film in generale”.

RDF: “Parliamoci onestamente: alla fine sono stato entusiasta di fare un film sull’impossibilità di fare un vero film horror in Italia. Per questo quella specie di Luna Park del set l’abbiamo creato abbastanza cheap, giocando sul messaggio che certe cose in Italia non ce le fanno fare. E infatti anche Fabrizio, il personaggio regista, parlando del suo produttore dice: “Mia madre non capisce un cazzo di horror”. Manco sua madre gli fa fare il film che vuole!”

Il film l’avete tutto pensato per dire qualcosa allo spettatore?

RDF: “L’idea era di avere un impatto visivo il più possibile vicino al cinema internazionale, volevamo convincere lo spettatore, specie quello italiano che è dubbioso e criticone verso il prodotto italiano di genere, volevamo catturarlo visivamente, fargli vedere il film e solo alla fine scaraventargli addosso il vero motivo per il quale abbiamo fatto il film. Perché sappiamo che lo spettatore italiano se non pensa di stare davanti ad un film straniero non lo convinci. Per questo abbiamo giocato con La casa, Midsommar, Non aprite quella porta, le caviglie di Misery non deve morire… Ci sono tutti i riferimenti. Tutto pur di arrivare al terzo atto, quando capisci perché l’abbiamo fatto”.

Quando è arrivata l’idea di fare in modo che fosse tutto un piano realizzato grazie alla presenza di una comunità mafiosa?

PS: “La mafia è entrata quando abbiamo inserito elementi di maggiore italianità nel progetto”.

E voi avete pensato alla mafia?!

PS: “Sì (ride), considera che dovevamo girare ad aprile 2020, poi è arrivato il Covid e abbiamo rinviato tutto all’estate. In quei mesi però abbiamo lavorato a una nuova versione. Quella durante il lockdown è stata l’unica stesura fatta tutti insieme, ognuno bloccato a casa propria. Una stesura che non era stata nemmeno richiesta da Netflix eh. Ma quando Milo Tissone, il nostro sceneggiatore antropologo, è arrivato con la storia di Osso, Mastrosso e Carcagnosso ci ha cambiato il flm”.

RDF: “Ricordo quando quasi tutto il gruppo non era convinto della sceneggiatura che stava andando a girare, perché non c’era niente che rendesse il film unico, e quando Milo ci raccontò quella leggenda io mi sono subito ricordato di aver visto un monologo di Saviano che raccontava la mafia ad un pubblico scolastico partendo proprio da Osso, Mastrosso e Carcagnosso. Mi sembrò subito geniale, l’elemento che mancava al film. Con l’aggiunta della scoperta che è tutto in realtà un modo disperato di fare un film horror in Italia mi sembra che il film sia perfetto. Cioè trovo perfetto che alla fine non si tratti del vero culto che ti immagini, come fossimo in Indiana Jones, ma sono tre persone comuni, con tre maschere, in un capanno. Quella roba lì mi ha entusiasmato tantissimo”.

Vi ricordiamo che A Classic Horror Story è disponibile su Netflix.

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