Il film New Order (Nuevo Orden), che ha diviso la critica e il pubblico del festival (qui la nostra recensione), ha conquistato alla 77. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia il Leone d’argento – Gran Premio della Giuria e il regista messicano Michel Franco, un giorno prima di salire sul palco per ritirare l’ambito riconoscimento, ci aveva raccontato qualche interessante dettaglio relativo al lungometraggio ambientato in una versione distopica della realtà in cui le differenze sociali scatenano una ribellione violenta e spietata.

Il film è visivamente molto affascinante, come avete lavorato su questo aspetto?

Mi fido molto del mio direttore della fotografia Yves Cape, ci conosciamo davvero molto bene. Non dobbiamo dire molto e non volevamo fare un film “verde”, non amo usare gli strumenti cinematografici in modo tradizionale, come la musica o appunto i colori. Si tratta di un film colorato, splendente e meraviglioso, guardarlo non è per forza facile, ma visivamente è molto bello.

Si nota subito l’uso del verde e del rosso…

Sono i colori della nostra bandiera messicana ed è per questo che molti dei volti sono dipinti metà con il verde e metà con il rosso. Non volevo usare il rosso come abbiamo fatto con il verde perché sarebbe stato troppo simile al sangue. Il verde, inoltre, è stato usato in molti movimenti con un approccio positivo, ho pensato che sarebbe stato utile mostrarlo nel film.

Ci sono anche dei riferimenti musicali molto specifici.

La musica che sentite alla fine è il Toque de Bandera messicano, viene usato ogni volta che si rende onore alla bandiera e so che passerò l’inferno per averlo usato.
Ho poi utilizzato lo stesso brano musicale di Shostakovich per tre volte perché è vicino al significato del film e anche delle origini della composizione originale.

Il personaggio di Marianne è una figura centrale, eppure sembra quasi avere un ruolo passivo negli eventi tranne nel momento in cui decide di andare ad aiutare Rolando, ha avuto dubbi nel mostrare la protagonista con queste caratteristiche?

Le persone continuavano ad avvertirmi che c’erano troppi personaggi che potevano non funzionare, la produzione non poteva andare bene perché era troppo ambiziosa e con un budget troppo limitato. C’erano tanti elementi che sembravano destinati a farci fallire… E per quanto riguarda il personaggio principale lo consideravano troppo passivo, pensavano che a nessuno sarebbe importato di quello che le accadeva, ma è sempre legato all’idea di non usare gli strumenti a disposizione in modo tradizionale. Penso che si debbano trovare nuovi modi per fare film, non sempre legati a ciò che i personaggi vogliono e continuare a seguirli. Per me il cinema deve essere qualcosa di più. Per me l’energia, il modo in cui la telecamera si sposta e cercare di rappresentare un’idea generale della nazione sono più importanti e ricchi di sfumature rispetto a un solo personaggio. Spero funzioni, ma non so se per tutti è così, di sicuro è una scommessa!

Si aspetta molte critiche?

Quando a qualcuno non piace un mio film rispondo sempre “Spero vi piaccia il prossimo!”.

La storia non ha dei riferimenti precisi, tuttavia è incredibilmente attuale. Pensa comunque che sia un progetto distopico?

Preparando il film, che è stato un processo lungo che ha richiesto circa 5-6 anni, quando ho avuto in mano lo script completo ho chiamato Yves che era in Belgio e a Parigi e parlavamo sempre dei gilet gialli chiedendoci in che modo quanto stava accadendo avrebbe influenzato il nostro film, che era già in fase di produzione. Dopo aver finito il film è iniziato Black Lives Matter… Penso che sia distopico perché non accadrebbe mai nel modo in cui l’ho rappresentato, è impossibile che non si fermi la situazione prima di quegli attacchi e si spera di non arrivare mai a quel punto, ma ogni nazione per le sue ragioni diverse si trova in una situazione simile. Spero che il film sia realistico per quanto riguarda i personaggi, il modo in cui si relazionano tra loro, la corruzione mostrata nel film, ma ho provato a pensare che sia una storia distopica. Ho cercato di essere molto distante da un approccio intellettuale e avvicinarmi invece alla storia dal punto di vista emotivo.

Gli spettatori non ottengono molti dettagli riguardanti le motivazioni della rivolta.

Non sappiamo nemmeno quello che vogliono, sappiamo solo che sono delusi. Ma in fondo è anche quello che succede con i gilet gialli… Sono di destra? Di sinistra? Sono anarchici? Sono vecchi? Sono anziani? Anche in Cile c’è stato un movimento simile. Pensiamo sempre, noi che viviamo nei paesi latinoamericani, che in Cile vivano meglio, ma in realtà c’è scontento. Le persone sono insoddisfatte ovunque.

Il finale non lascia aperte molte porte alla speranza, ha sempre pensato a quel momento come epilogo del racconto?

Ho sempre saputo che volevo finire il film con quella scena precisa, tutta la storia era stata ideata per arrivare a quel punto. Sono molto spaventato dai regimi totalitari e dal fatto che puntino a controllare in quel modo le persone, e lo facciano sempre di più.

Una delle figure più enigmatiche è quella di Victor

Di Victor conosciamo veramente poco, non sappiamo chi è, solo ciò che rappresenta: il potere. Non conosciamo l’ideologia delle persone, tutta l’ambiguità ha uno scopo ed è difficile perché anche gli attori mi chiedevano ‘Ma chi sono?’. L’ho voluto per permettere agli spettatori di tutto il mondo di sentirsi coinvolti e rappresentati, di pensare ‘Potrebbe essere la mia nazione’. Se si inizia ad essere specifici si perde un po’ questa capacità di rivolgersi a tutti, ma ho comunque inserito degli elementi legati al Messico perché le persone mi hanno detto ‘dì che siamo in Messico, potrebbe essere ovunque ma potrebbe sembrare meno reale e finto senza alcun elemento geografico’. Si è trattato di un film davvero difficile da capire come gestire.

Senza tanti riferimenti come sono stati gestiti gli attori sul set?

Ho scritto delle parti per delle persone che conosco, come accaduto con Naian González Norvind che conosco da quando aveva 14 anni ed è molto simile al suo personaggio. Non avevo mai lavorato con lei, è parte di una famiglia di attori e sua sorella ha recitato in un mio film, la conosco davvero bene e so come valorizzarla. Mónica Del Carmen è in quattro dei miei film… Mi aiuta conoscere le persone e mentre sto girando posso improvvisare, cambiare, se sento che qualcosa non funziona. Il 20-30% del film è nato grazie alle riprese aggiuntive, cosa che posso fare essendo il produttore. Ho girato in modo cronologico e ho tenuto a disposizione le location più a lungo rispetto al previsto, cerco sempre di anticiparmi rispetto alle tempistiche previste e l’ultimo giorno in cui sono in una location so sicuramente che farò delle riprese aggiuntive.

Nel film c’è molta violenza, come ha gestito questo elemento?

Non penso onestamente sia un film violento, è un elemento importante, ma per me è violenza anche il modo in cui la padrona di casa tratta la sua domestica. Non è qualcosa legato solo ad aspetti fisici, come stupri o attacchi. Penso che la violenza debba essere rappresentata in modo realistico perché non deve essere dura, difficile da vedere, ma cerco anche di non esagerare perché se spingo troppo su quel tasto gli spettatori si distaccano dal film, pensano di essere puniti o attaccati. Ho usato la mia intuizione e ho cercato di trovare un equilibrio.

In che altro modo ha cercato di mantenere il film realistico?

Ho poca speranza, certo, ma penso che si debba cercare di capire cosa stiamo sbagliando e provare empatia bel capire la posizione degli altri per poter vivere meglio insieme agli altri. Ma la vita va avanti, dobbiamo capire. La vita è così, anche se provi a fare la cosa giusta non vieni sempre premiato. Amo quando un film è più vicino alla realtà rispetto al proporre una storia idealizzata.

Il montaggio contribuisce in modo determinante a dare ritmo alla storia, come avete lavorato a questo elemento del film?

Il montaggio è stato un incubo! Ci ho messo un anno a finirlo ed è stato il periodo più lungo che io abbia mai trascorso nel montare un film.
Anche la prima sequenza è stata davvero difficile da ideare per quanto riguarda il montaggio, Yves mi ha aiutato molto. Siamo ritornati a lavorare a quella scena anche dopo aver completato il resto. Siamo tornati alla prima versione, ma è davvero difficile perché è molto energetica e in continuo crescendo. All’inizio il film ha quell’energia, poi diventa un’altra cosa, sembra uno dei miei vecchi film ed è stato difficile unire le due parti, trovare un equilibrio per le varie storie. Poi quando pensavo di aver finito l’ho mostrato a mia sorella, perché mi aiuta anche leggendo i miei script e lavorando insieme, e mi ha detto ‘è terribile, è così logico che non ha emozioni’. L’ho odiata enormemente e sono dovuto tornare al lavoro.

Sono stati tagliati dal passaggio della storia che alterna l’attacco alla casa e Marianne che cerca di arrivare da Rolando?

Non volevo mostrare tutto, montare la scena in quel modo ho pensato che creasse una dimensione più intima rispetto invece ad assistere alle morti, a una continua catena di violenza.

Il film mette al centro anche un dipinto, come è stato scelto?

Alla fine dei titoli di coda appare il riferimento al dipinto ‘Solo la morte ha visto la fine del mondo’. Il pittore appare nel film consegna una busta alla sposa ringraziando per essere stato invitato ed è un mio amico. Sono andato a cena a casa sua mentre stavo preparando il film e ci ho messo trenta minuti prima di poter entrare nella casa perché stavo parlando con qualcuno che aveva lasciato il progetto, una persona incredibilmente potente e importante, che mi stava urlando ‘Non hai idea, sarà un disastro!’. Sono entrato nella casa iper stressato e arrabbiato. Ho visto quel quadro e ho detto ‘Posso usarlo nel mio film? Voglio distruggerlo’. Inizialmente l’artista non aveva capito cosa stessi dicendo, poi ho ribadito ‘Mi ricorda Guernica di Picasso, è perfetto per il mio film, lasciami usarlo’. Alla fine è stato incredibilmente felice!

La rappresentazione delle divisioni etniche in Messico potrebbero suscitare polemiche, che ne pensa?

Dobbiamo smettere di essere cinici e ipocriti, dobbiamo dire le cose come sono, è quello il primo passo. Girare è stato complicato perché sembra quasi reale. Mónica Del Carmen, che è una delle mie attrici preferite, appare in tutti i miei film, ha reso tutto più semplice perché ci vogliamo talmente bene che potevamo rappresentare quello che ci circondava. Lei non riceve mai offerte di buoni ruoli perché non ha l’aspetto di Marianne, quindi tutti i ruoli interessanti vengono affidati a persone con precise caratteristiche fisiche. Per questo il successo di Yalitzia Aparicio, protagonista di Roma, mi ha reso molto felice, anche se non dovrebbe essere un’eccezione e dovrebbe essere la normalità, ma almeno Cuaron l’ha scelta e coinvolta come protagonista.

SPECIALE FESTIVAL DI VENEZIA

Classifiche consigliate