Dopo la tempesta arriva l’intervista. A noi A Bigger Splash è piaciuto ma non è stato certo un parere unanime quello della stampa italiana a Venezia, molte le voci dissonanti, del resto Guadagnino c’è abituato. Il giorno dopo la proiezione e la bufera mediatica ci sono però le interviste e quando ci sediamo al tavolo con Luca Guadagnino ci presentiamo e siamo gli unici italiani del gruppetto di giornalisti: “Per chi scrivi?” – “BadTaste.it” – “Ah! Avete già pubblicato la recensione?” non ce lo chiede direttamente ma glielo diciamo lo stesso perchè è bello poter dire ad un regista che il suo film ti è piaciuto: “Il film ci è piaciuto”.

Una piccola parte dell’intervista è stata dedicata al remake di Suspiria che Guadagnino girerà e tutto quello che è uscito lo trovate in un post a parte.

È molto tempo che lavori su questo film, cosa ti interessava così tanto?

Parlare di adulti e di come si possa andare in profondità nelle relazioni. Ad ogni modo questo non è un film su galassie lontane e persone che lottano contro l’impero, non è un film con della carne, con un plot forte, ma su personaggi. Ho ricevuto molte sceneggiature in questi anni e sono tutte uguali, ogni volta c’era la medesima struttura con personaggi intercambiabili tra loro. Dev’essere terribile per voi venire a questi festival e vedere tutti questi film tutti uguali tra loro. Io invece con il mio scrittore volevo fare qualcosa di diverso, volevo andare in profondità in un film non guidato dal dramma ma dal percorso emotivo di personaggi presi nella rete della forza selvaggia del desiderio.

È vero che quella di non poter parlare è un’idea di Tilda Swinton?

Si e io ho subito pensato che fosse geniale che il suo personaggio, una rockstar, stesse rischiando di perdere la voce. Sono stato invidioso di non averla avuta io quell’idea, così semplice e forte. Se sei il tipo di persona che non sa cambiare idea fino a che il film non è finito, sei in una brutta situazione. Con quell’idea Tilda è riuscita ad enfatizzare cosa ci sia in ballo in queste interazioni. È per spunti come questi che io e lei lavoriamo sempre insieme.

Cosa ti lega a Tilda Swinton?

Ci piace lo stesso cibo, ci piace stare insieme, ci rispettiamo, non ci annoiamo mai. È una cosa bellissima, l’ho incontrata a 22 anni e non ci siamo più separati, è una benedizione avere la fortuna di incontrare una persona a cui corrispondi. Certo alle volte discutiamo e non concordiamo. Di solito accade perchè Tilda ama stare sul terreno del non enfatico e io invece amo l’enfatico. Io non amo la teatralità e Tilda la odia, dunque ogni tanto mi piace virare un po’ sul teatrale, mentre a lei proprio no ma entrambi amiamo l’età dell’oro del cinema quando la grande teatralità era radicata così tanto nel senso del cinema. L’esempio perfetto è Bette Davis.

Invece l’idea di Ralph Fiennes da dove viene?

È uno dei miei attori preferiti fin da Schindler’s List, sono cresciuto amandolo in tutti i suoi film. Così erotico e bello da guardare. Poi ho visto il trailer di Grand Budapest Hotel ed era divino mentre scivolava sulla superficie in rosa, era perfetto e mi sono detto “Mio Dio possiede anche il lato comico!” e l’ho voluto incontrare.

In questo film torna un espediente strano che già avevi usato in Io sono l’amore, la colonna sonora che ad un certo punto è più forte dei dialoghi, fino a che quasi non li sentiamo…

Non mi piacciono troppo i dialoghi, nel cinema di oggi ci sono soprattutto teste parlanti, è tutto così teatrale. Primi piani di persone famose, quasi famose, famose a livello nazionale, a livello internazionale… Sono delle linee di vestiti ambulanti filmate in modo che tu tragga tutte le informazioni necessarie dalle loro parole. Per me è l’inferno, credo che tutti gli elementi che compongono un film abbiano importanza: i corpi, il setting, i dettagli, gli oggetti di scena, la realtà, tutto fa parte del linguaggio. Dunque alle volte il dialogo deve stare nello sfondo.

Alla fine la storia che racconta A bigger splash?

È una storia di perdita. Quando perdi qualcosa subito la vuoi indietro, il che è una forma di dipendenza ma dipendenza ad un punto in cui sei così assorto che ti chiudo e non vedi la realtà intorno a te.

Solitamente i film sulle rockstar inventate non vengono bene, ci avevate pensato?

Si ma volevamo che Marianne fosse una rockstar unica eppure anche qualcuno che non fa più la vita da palco, una che ormai si deve mascherare quando è sul palco. Bowie quando faceva Ziggy Stardust, viveva come Ziggy Stardust, Marianne invece no, mette su un maschera quando deve. Perchè il rock ha fallito da una parte e dall’altra è l’energia che ci salva da questi tempi conformisti. Tuttavia la rockstar che sceglie di usare la presenza degli immigrati come macguffin sta andando contro la rivoluzione del suo statuto di rockstar, e quella scelta la perseguiterà per sempre probabilmente.

Gli immigrati entrano ad un certo punto nel film, erano previsti da sempre in sceneggiatura?

Fin dalla prima stesura. Non vai a Pantelleria se non hai a che fare con la realtà di Pantelleria e quella è una realtà che questiona il fatto che il privato sia pubblico e questa è l’unica cosa che conta. La vera realtà ti chiede il conto alla fine, e il conto da pagare può essere confrontarsi con il tuo comportamento etico.

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