Killers of the Flower Moon è uscito finalmente al cinema: il nuovo film di Martin Scorsese con Leonardo DiCaprio, Robert DeNiro, Lily Gladstone, Jesse Plemons, John Lithgow, Brendan Fraser ha fatto il suo debutto al Festival di Cannes ed è diventato uno dei titoli più attesi dell’anno.

Per scoprire di più sulla vera storia alla base del film, sul casting, sull’epica produzione e sulla nazione Osage, riportiamo tutti i dettagli raccontati nel pressbook ufficiale.

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Killers of the Flower Moon: la vera storia e il romanzo originale

Apprezzato autore e giornalista d’inchiesta, il cronista newyorkese David Grann fa luce sulle storie dimenticate con un approccio lucido e profondo. Il suo libro-rivelazione del 2009, Z, la città perduta (The Lost City of Z: A Tale of Deadly Obsession in the Amazon), che racconta la storia dell’esploratore inglese disperso Percy Fawcett, è stato prima un bestseller, poi un film diretto da James Gray nel 2016. Nei suoi editoriali Grann ha esplorato la Fratellanza Ariana, le vicende del politico corrotto James Traficant, la florida carriera criminale di Forrest Tucker, nonché l’esistenza di una leggendaria piovra gigante (e le vicende del suo irriducibile cacciatore).

Il capolavoro di Grann del 2017 Killers of the Flower Moon: The Osage Murders and the Birth of the FBI (pubblicato in Italia con il titolo Gli assassini della terra rossa), è una rara gemma letteraria, una storia americana di crimini a sfondo razzista, che esplora il passato e il presente della nazione. Ambientata negli anni Venti, nel crepuscolo del Vecchio West, la storia racconta le razzie perpetrate nella Contea degli Osage e la nascita di una squadra speciale creata per indagare in merito.

Al centro del libro di Grann c’è la Nazione Osage, la tribù di nativi americani costretta a spostarsi verso ovest dall’Ohio e dalle valli del Mississippi, attraverso il Missouri e il Kansas, per giungere infine,per ordine del governo americano, nel cosiddetto “territorio indiano” dell’ Oklahoma, dove rimase fino alla fine del 1800.

Quando, nel 1894, furono scoperti giacimenti petroliferi nella terra degli Osage, la tribù divenne ricchissima, grazie ai diritti minerari e alla locazione dei campi agli imprenditori. Il territorio fu invaso da speculatori assetati di ricchezza. Iniziò un periodo di grande sfruttamento e non solo da parte dei criminali che si riversarono nelle cittadine in rapida espansione, ma anche del governo americano che inaugurò un sistema corrotto e razzista di “custodia” del territorio, secondo il quale le ricchezze dei nativi americani dovevano essere gestite da tutori bianchi, i quali di fatto si appropriarono illecitamente di profitti milionari.

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Nel corso del cosiddetto Regno del Terrore dei primi anni ’20, decine di membri Osage furono assassinati in circostanze misteriose, molti di loro avvelenati, affinché le loro concessioni terriere (comprese le quote dei diritti petroliferi) potessero essere ereditate da cacciatori di fortuna che si introducevano nei loro territori sposando le donne del luogo a scopo di lucro. Nel 1923 l’FBI avviò un’indagine su richiesta degli Osage, e questo fu uno dei primi casi di omicidio trattati dal bureau federale. Ma il danno ormai era fatto.

 “Questo libro è stato una vera e propria rivelazione”, dichiara l’attore Leonardo DiCaprio, ricordando anche il massacro di Tulsa del 1921, un altro orribile episodio di violenza dei bianchi contro una minoranza, avvenuto in un territorio poco distante (purtroppo sono trascorsi cento anni prima che queste ingiustizie fossero rese note). “Mentre il massacro di Tulsa è stato un palese attacco contro un’intera comunità afroamericana, la strage degli Osage è stata più machiavellica e si è protratta per anni; i suoi effetti si ripercuotono anche nel nostro presente”.

Dopo aver opzionato i diritti del manoscritto di Grann nel 2016, prima della pubblicazione del libro, la squadra di DiCaprio ha presentato il progetto al regista Martin Scorsese per realizzare una potenziale sesta collaborazione con lui, dopo i trionfi di Gangs of New York, The Departed – Il bene e il male e The Wolf of Wall Street. “Quando ho letto il libro di Grann ho visualizzato immediatamente le scene, la gente, l’ambientazione, l’azione, e ho capito che doveva diventare un film”, afferma Scorsese. Inoltre è stato bellissimo lavorare di nuovo con Leo per portare insieme questa storia sul grande schermo”.

Tuttavia Scorsese in quel momento era molto impegnato sia con il montaggio di un suo progetto di lunga gestazione, il film epico e spirituale Silence, che con l’importante produzione di The Irishman. Quindi ha potuto iniziare a scrivere il copione di Killers of the Flower Moon, insieme a Eric Roth, solo nel gennaio 2017.

Il regista racconta di quanto sia rimasto colpito dal libro di Grann e dall’idea, suggeritagli anche dal suo produttore esecutivo Rick Yorn (manager sia di Scorsese che di DiCaprio) di poter finalmente realizzare il suo “western”. È un grande appassionato del genere fin da quando era piccolo.

“Ho sempre desiderato fare un western”, dichiara. “Ho amato molto i western che vedevo da bambino, e ancora mi piacciono, compresi i film di Roy Rogers, che fondamentalmente erano fatti per i bambini, nonché i film più articolati degli anni ’40 e ‘50. Ero attratto dai western tradizionali più che da quelli psicologici. Ma conoscere la storia del cinema non deve servire a emulare, bensì a trovare ispirazione e ad evolvere. Quei film mi hanno nutrito ed esortato ad approfondire la storia”.

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Un’ingiustizia nel cuore del paese

Killers of the Flower Moon, basato su un ignobile episodio della storia americana, non doveva seguire uno schema tradizionale. L’adattamento cinematografico di Scorsese e Roth ruota infatti intorno a un eroe piuttosto diverso dagli altri: Thomas Bruce White Sr., l’eroico ranger texano e agente FBI che ha avuto il merito di risolvere il mistero degli omicidi della tribù Osage.

Spiega Scorsese: “Io e Roth abbiamo valutato insieme che genere di film fare. Dal 2017 al 2020, mentre giravamo The Irishman, abbiamo scandagliato ogni aspetto della storia dal punto di vista dell’FBI e del personaggio di Tom White, compresa la vicenda dei Texas Rangers. Al centro della storia c’è Tom White, che abbiamo analizzato da ogni possibile angolazione”.

Scorsese, Roth e DiCaprio hanno il merito di aver compreso che era necessario un perno intorno a cui imbastire la storia.

“Perché stiamo facendo un film su Tom White quando vorremmo farlo sugli Osage?”, si è chiesto il regista. “Ecco ciò che vediamo: un uomo scende dal treno, vediamo i suoi stivali, la macchina da presa sale e lo inquadra, con il suo cappello da cowboy. Riprendiamo il suo ingresso in città, senza dire una parola. È una scena che ci è familiare”.

Scorsese temeva che il ruolo di White risultasse troppo limitante per DiCaprio. Una prima lettura informale della bozza della sceneggiatura, con Roth, DiCaprio e la figlia di Scorsese che hanno dato voce ai personaggi principali, è servita per capire quali cambiamenti apportare alla storia.

“Non intendo affatto denigrare i polizieschi”, dice il regista”, ma una settimana dopo questa lettura, Leo mi ha chiesto: “Qual è il fulcro della storia?”

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Anche DiCaprio racconta il modo in cui hanno superato l’impasse. “Ci è voluto molto tempo per perfezionare la storia”, spiega, “per riuscire, insieme a Eric e Martin, ad acquisire una prospettiva della vicenda degli Osage per evitare di fare un film esclusivamente sull’indagine svolta dall’FBI. Nel libro la storia funziona benissimo ma abbiamo voluto evitare di raccontare l’ennesima storia di un agente FBI bianco che salva la situazione, perché il rischio di questo clichè era concreto. David Grann è stato sempre molto chiaro: ‘Se dovete fare un film su questo argomento, è importante capire il ruolo degli Osage’”.

Il lavoro è durato anni, e nel frattempo i protagonisti si sono destreggiati fra altri impegni di lavoro: DiCaprio ha recitato in C’era una volta… a Hollywood di Quentin Tarantino; Roth si è immerso nella scrittura dell’epico film in due parti Dune, diretto da Denis Villeneuve, mentre Scorsese discuteva la logistica di The Irishman.

Alla fine, però, la soluzione è arrivata direttamente dalle trascrizioni del tribunale e dal racconto in prima persona di Grann del processo per omicidio degli Osage, a cui Roth ha dato la forma drammatica nella sceneggiatura. Alla sbarra c’era Ernest Burkhart, un ambiguo veterano della Prima Guerra Mondiale che aveva trovato lavoro nei giacimenti petroliferi di Fairfax, in Oklahoma. Burkhart ha fornito una testimonianza sulla sua partecipazione a un complotto criminale ideato da suo zio: un complotto che prevedeva il suo matrimonio con una donna di una ricca famiglia Osage e il successivo omicidio dei parenti della moglie, fra cui sorelle, cognato, cugino e persino la madre, il tutto allo scopo di ereditare le concessioni terriere. Mollie, sua moglie, sarebbe stata la sua prossima vittima.

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“Quello è stato il momento più emozionante”, racconta DiCaprio.“ Dare vita a una vicenda così complessa, oscura, con personaggi affascinanti, raccontare il modo in cui queste due persone rimangono insieme, anche dopo il processo, e si separano solo alla fine. Martin è un maestro nel conferire umanità a personaggi pieni di conflitti e tutto sommato incolori. Questo doveva essere il fulcro del film, non l’indagine condotta da un forestiero che cerca di capire chi abbia commesso i crimini”.

Il tradimento personale è diventato quindi la chiave per personalizzare Killers of the Flower Moon. “Ernest e Mollie sono al centro della storia”, spiega il regista. “Assistiamo a come la fiducia e l’amore vengono compromessi e traditi. E per quale motivo? Per avidità, per brama di possesso, per ottenere sempre di più: più terra, più soldi. Questo argomento mi interessa per tanti motivi, soprattutto perché è alle origini della mia cultura”.

Scorsese si è ispirato anche alle trascrizioni del processo. “C’è una deposizione di Ernest”, spiega il regista, “in cui l’imputato fornisce le sue generalità e dichiara di non avere un lavoro e di passare il tempo nella sala da biliardo. Ho conosciuto tante persone così quando ero piccolo. Prendiamo un ragazzo a cui piace vestirsi bene. Ogni tanto commette qualche furto e si diverte con le donne. Abbiamo costruito una storia intorno a questo personaggio, un uomo debole che non vuole o che non riesce ad affrontare suo zio, né le persone che lo circondano.

Dopo aver concepito il copione, le maggiori difficoltà erano ormai superate. “Sapevo che avremmo raggiunto il nostro obiettivo”, spiega. “Eravamo sulla buona strada, lo sentivo, perché al centro del film c’erano Ernest e Mollie. E noi abbiamo creato Ernest in base a quello che ci ha raccontato la gente, le persone che lo conoscevano”.

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Il casting di Killers of the Flower Moon

Motivato a incarnare Ernest Burkhart, DiCaprio si è impegnato a costruire il suo personaggio. “Ernest si è amalgamato nella cultura Osage come un camaleonte”, dichiara l’attore. “Abbiamo incontrato varie volte i membri della comunità Osage, e questi incontri sono stati utilissimi. Molti di loro ci hanno guidato nella nostra impresa, ci hanno aiutato a immergerci completamente nella loro cultura”.

Laddove possibile, DiCaprio ha voluto parlare personalmente con i veri discendenti e parenti del suo personaggio. In ogni caso, l’attore considera questo uno dei ruoli più complessi e controversi della sua carriera. Burkhart arriva in Oklahoma dopo essere stato ferito in guerra; è impossibilitato a svolgere qualsiasi lavoro pesante, ed è considerato da tutti una specie di credulone, un ingenuo manovrato da suo zio per adescare Mollie. Ma anche quando Ernest diventa complice del complotto dello zio, sente di amare Mollie sinceramente.

“Io e Leo abbiamo creato insieme, con molta partecipazione, il personaggio di Ernest”, dice Scorsese, “e insieme alla direttrice del casting Ellen Lewis abbiamo selezionato tutte le possibili attrici per dare vita a Mollie”.

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DiCaprio e Scorsese sono rimasti colpiti dall’attrice nativa americana Lily Gladstone, nota soprattutto per la sua accattivante interpretazione di Jamie, la rancher solitaria di Certain Women, il film ambientato nel Montana e diretto da Kelly Richardt.

“Subito dopo averla incontrata su Zoom, Martin ha capito di aver trovato Mollie”, racconta DiCaprio. “Lily non solo possiede una grazia incredibile, ma essendo una nativa americana appartenente ai Blackfeet, ha portato molto della sua cultura nel film. È molto raro che Martin, quando sceglie un attore, lo incontri una sola volta e non faccia neanche un’audizione. Ma negli occhi di Lily, nella sua anima, ha visto subito Mollie, e ovviamente aveva già apprezzato le sue interpretazioni precedenti”.

Gladstone spiega che quell’incontro ha inaugurato una collaborazione caratterizzata da molto rispetto, che è cresciuta con il tempo e nel corso delle numerose versioni della sceneggiatura.

“Prima di iniziare a girare, la mia preoccupazione era che Molly diventasse un personaggio secondario”, racconta l’attrice. “E questo mi dispiaceva perché non è possibile raccontare questa storia senza esplorare le vicende del popolo degli Osage e dello sfruttamento che hanno subito. Tuttavia, sia Martin che Leo non erano interessati a raccontaresolo quella storia. Ringrazio Leo per aver voluto interpretare – ed è stato bravissimo nel farlo – il dualismo del suo personaggio. E Martin per il suo interesse. Questo è ciò che accade quando hai un background cattolico. Il concetto di bene e male ti resta dentro, ti viene inculcato subito”.

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L’attrice spiega infatti che il cattolicesimo è stata la chiave del suo approcco a Mollie, che di fatto era molto credente. Questo è stato un argomento molto dibattuto nel corso delle sue conversazioni con Scorsese. Gladstone racconta che il suo primo contatto con il filmmaker è avvenuto nel film Kundun, nel1997. “Esistono molti paralleli fra gli indiani americani e i tibetani sfollati e privati dei loro diritti”, dice.

DiCaprio spiega che Gladstone era interessata a esplorare i conflitti interni di Mollie e a sottolineare il senso di auto distruzione nel suo rapporto con Ernest. “Ha dato al personaggio spessore e consapevolezza”, spiega l’attore. “Mollie è scettica nei confronti di Ernest, lo considera un disonesto, un imbroglione. Lo provoca dicendo “Il coyote vuole i soldi!” e frasi del genere. Devo ammettere che Lily è stata una partner professionale aperta e coraggiosa. Anche se non è di discendenza Osage, si è immersa completamente in questa cultura. Per me e Martin è stata un faro nella storia, la nostra musa, in tutta la lavorazione del film”.

“È stato molto interessante vedere come la sua presenza abbia influito su Leo e sullo sviluppo del suo personaggio e di come abbia contribuito a definire il rapporto fra Mollie e Ernest”, dichiara Scorsese. “Esplorare il territorio emotivo insieme a Lily e a Leo è stata un’esperienza che mi ha arricchito molto. I silenzi di Mollie nel film sono molto eloquenti, spesso più significativi delle sue parole”.

A proposito di muse e di collaborazioni di vecchia data, Killers of the Flower Moon rappresenta la decima collaborazione di Scorsese con Robert De Niro, che qui vediamo nel ruolo dello zio di Ernest, l’allevatore di bestiame William “King” Hale, colui che ha ideato il Regno del Terrore. Anche se alla fine viene condannato per omicidio, Hale è un personaggio pieno di contraddizioni: pur ricattando e minacciando, si ritiene amico degli Osage, che definisce “il più bel popolo del mondo”.

“È un personaggio complesso”, dice Scorsese. “Ha atteggiamenti profetici ed è convinto che sia giunto il loro tempo: ‘Li aiuterò io. Ce li porto io nella tomba. Gli faciliterò la vita. Le civiltà vanno e vengono”. Ma il punto è che a lui piacciono. Inoltre, da quello che capisco, al funerale di Bill Hale, negli anni ’60, parteciparono anche alcuni Osage. È un personaggio molto controverso, non un semplice ‘villain’ né un eroe”.

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In questo film DiCaprio ritrova De Niro trent’anni dopo Voglia di ricominciare. “Il primo film che ho fatto all’inizio della mia carriera, è stato con De Niro. Interpretava il ruolo del mio patrigno, un uomo violento non così diverso da Hale. Ed eccomi di nuovo al fianco di Bob in Killers of the Flower Moon, che sembra quasi un’evoluzione della stessa dinamica. Abbiamo analizzato a fondo il loro rapporto, cercando di comprendere i personaggi e giungere alla loro verità”.

Nonostante i cambiamenti apportati, il ruolo dell’agente FBI Tom White ha dato ancora la possibilità, al candidato agli Oscar Jesse Plemons, l’opportunità di splendere. White si accontenta di ascoltare e prendere appunti, mentre la sua preda si infila in una trappola che lui stesso ha creato.

Plemons spiega: “La sfida è stata proprio quella di interpretare un ridicolo esponente di moralità e giustizia cercando di umanizzarlo”. Dichiara di aver trovato grande fonte di ispirazione nelle scene con De Niro. “È stato bellissimo lavorare con lui. Nelle scene cambia sempre qualcosa, adoro il suo metodo di lavoro. Al di là di ciò che si vede, ci sono cose che accadono sotto la superficie e che non vengono dette”. 

Anche i ruoli minori della sceneggiatura sono stati affidati ad attori di spicco. John Lithgow e il recente premio Oscar Brendan Fraser interpretano due avvocati in contrasto fra loro. “Scorsese è il prototipo del regista infiammato dal lavoro “, dice Lithgow. “Ho lavorato con altri registi come lui: faresti qualsiasi cosa per loro”. Aggiunge Fraser: “Scorsese ha il merito di far sentire tutti importanti”.

Per quanto notevole fosse il cast, prima di iniziare a girare il film, i filmmaker hanno voluto dare il giusto spazio agli Osage, sia sullo schermo che dietro le quinte.

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Ascoltare la terra: la partecipazione degli Osage e la loro benedizione

Il conflitto culturale è un tema ricorrente dell’opera di Scorsese ed è il fulcro anche di Killers of the Flower Moon. Durante la scrittura della sceneggiatura, il progetto ha preso forma e sono state prese decisioni importanti.

Fra queste, quella di girare gli esterni del film in Oklahoma nella riserva Osage, proprio nelle cittadine e comunità il cui un secolo prima aveva regnato il Terrore. Un’altra decisione presa da Scorsese riguarda la piena collaborazione da parte della Nazione Osage nella lavorazione del film. Nel rivolgersi agli Osage, Scorsese ha voluto apprendere la loro storia, cultura, tradizioni e preoccupazioni, ha ascoltato i loro racconti, i loro sogni, e ha cercato il sostegno della comunità in ogni fase della produzione. Inoltre, ha fatto in modo che gli Osage fossero trattati sempre con rispetto e riguardo, garantendo che la loro vicenda fosse raccontata in modo autentico e veritiero.

Nella primavera del 2019 Scorsese e la sua squadra si sono recati nella riserva Osage per effettuare i sopralluoghi delle location e incontrare direttamente la comunità prima di iniziare le riprese. È stato organizzato un incontro fra Scorsese e Geoffrey Standing Bear, il Leader della Nazione Osage. Fra i due si è instaurata una profonda comunicazione.

“Sono state due ore molto belle”, afferma Chief Standing Bear. Gli ho rivelato le mie preoccupazioni, dicendo che non volevo che gli Osage fossero mostrati semplicemente come dei cadaveri, che speravo che la nostra storia e la nostra cultura venissero rappresentate accuratamente nel suo film. Scorsese si è avvicinato a noi con il massimo rispetto. Ci ha illustrato alcuni dei suoi film, in particolare Silence, in cui le culture dei missionari cristiani e il Giappone del 17° secolo sono stati rappresentati con rispetto e serietà, e questo ci ha molto incoraggiato”.

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La comunità Osage di Gray Horse ha organizzato una cena per Scorsese e la sua squadra di professionisti: un’occasione significativa a cui hanno partecipato centinaia di membri della tribù, molti dei quali hanno raccontato dei loro antenati uccisi durante il Regno del Terrore. Il membro del Congresso di Osage Nation, Brandy Lemon (e che in seguito è stato il trait d’union fra la comunità Osage e il film), racconta: “Scorsese ha stretto la mano di ogni singolo membro Osage che ha partecipato all’evento”.

Marianne Bower ha ampliato il suo ruolo di ricercatrice, creando un rapporto con il mondo Osage, diventando il punto di riferimento fra Scorsese, la squadra creativa, la produzione e la comunità dei nativi americani. Questo ha favorito un dialogo su questioni culturali e storiche che ha permeato tutta la produzione e la post- produzione.

Durante i sopralluoghi delle location, la costruzione dei set e il casting degli attori, è esplosa la pandemia di COVID-19. Le attività sisono bruscamente interrotte e le riprese sono state sospese temporaneamente. Ma proprio durante questa pausa forzata, Scorsese ha avuto modo di perfezionare la storia di Ernest and Mollie e ha rielaborato alcune parti del copione. Le riprese sono ricominciate nella primavera del 2021.

Il lavoro è ripreso con rinnovato vigore e a ritmi sostenuti, articolandosi su tre fronti: la produzione è tornata nella Contea Osage in Oklahoma per ultimare i sopralluoghi delle location; è stata riavviata la costruzione dei set; e il casting è ricominciato da dove si era interrotto. Si è affermato un principio molto innovativo: laddove possibile, i personaggi Osage dovevano essere interpretati da attori appartenenti alla comunità Osage e se questo non fosse stato possibile (come nel caso di Lily Gladstone), ogni ruolo Osage sarebbe stato comunque recitato da un nativo americano. Infatti, tutti i membri Osage del film sono interpretati da autentici nativi americani.

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William Belleau (The Twilight Saga: Eclipse) interpreta Henry Roan, un Osage che ha legami con Mollie; Tatanka Means (Saints & Strangers) è l’agente federale nativo americano John Wren; la nota attrice canadese Tantoo Cardinal (Balla coi lupi, Vento di passioni), di origine Creee Métis interpreta il ruolo della matriarca Lizzie, la mamma di Mollie; mentre Cara Jade Myers (This is Us), JaNae Collins (Reservation Dogs) e Jillian Dion (Legion) hanno interpretato le tre sorelle di Mollie, Anna, Reta e Minnie.

Scorsese ha organizzato un casting aperto nello stato dell’Oklahoma, e diversi attori Osage sono stati scritturati nei ruoli principali: Yancey Red Corn debutta al cinema nel ruolo del capo Osage Bonnicastle; Everett Waller interpreta Paul Red Eagle, il suo associato; Talee Redcorn è un leader Osage; e Desiree Storm Brave Jones ed Elisha Pratt interpretano i coniugi Joseph e Bertha Bigheart.

Complessivamente, sono oltre 44 i ruoli interpretati dagli attori Osage, oltre a centinaia di extra. Yancey Red Corn, un ex avvocato Osage diventato attore, dice di essere un fan di Scorsese da quando, all’età di 12 anni, ha visto Toro Scatenato. Non appena ha saputo del casting, non ha resistito. “Ho pensato, perché non provare? È Scorsese! Mi sono recato all’audizione solo per il gusto di tentare. Sapevo di avere pochissime probabilità… invece mi hanno richiamato e alla fine mi hanno offerto il ruolo”.

Dopo aver stabilito che la preproduzione sarebbe iniziata a metà aprile, Scorsese, DiCaprio e gli esponenti principali della troupe, hanno incontrato membri di spicco della comunità Osage compreso Chief Standing Bear, il consulente di produzione Chad Renfro (nominato Ambasciatore della Nazione Osage per il film) e sette anziani. Il meeting, organizzato per illustrare la storia del film agli Anziani Osage e per discutere di qualsiasi problema in merito, si è tenuto a Woolaroc, un centro culturale dell’Oklahoma nonché un museo situato all’esterno della città di Bartlesville. Scorsese ha parlato per primo, spiegando che la struttura del film prevedeva un prologo basato sulle prime pagine di “A Pipe for February”, un romanzo dello scrittore Osage Charles H. Red Corn, che illustra un rituale sacro eseguito in un momento di grande cambiamento per la tradizionale comunità Osage. Scorsese ha spiegato che questa sequenza sarebbe stata intervallata da filmati di cronaca che avrebbero mostrato come la cultura bianca considerasse gli Osage all’epoca in cui la loro ricchezza petrolifera era alle stelle.

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Scorsese sottolinea che il suo film rivela un vero e poprio sistema ideato per uccidere gli Osage e appropriarsi dei loro soldi e delle loro proprietà. “Gli Osage hanno una cultura molto variegata”, ha dichiarato il regista. “Tutto ciò che abbiamo appreso da loro, ha arricchito la nostra narrazione”.

Anche gli anziani della comunità Osage hanno parlato, durante il meeting, condividendo le loro preoccupazioni, storie e pensieri con la squadra del film; molti di loro sono discendenti di persone che sono state vittime del Regno del Terrore. L’anziano Osage Marvin Stepson ha reso noto il suo forte legame con la storia del film; suo nonno, Bill Stepson, è stato assassinato durante il Regno del Terrore e viene menzionato nel film. Ha offerto ai filmmaker il suo sostegno, e questoè stato importante. “Avete un compito difficile davanti a voi”, ha detto Stepson. “Ma sono certo che racconterete una bella storia e questo è tutto ciò che desideriamo: una bella storia che illustra la verità nel miglior modo possibile”.

Le domande di DiCaprio hanno generato un’accesa conversazione. Quando il meeting è terminato, Scorsese e DiCaprio hanno espresso la loro gratitudine per la disponibilità offerta dalla comunità.

Il meeting, che è stato un momento di confronto fra due mondi nonché una manifestazione di rispetto reciproco da parte dei filmmaker e della Nazione Osage, ha raggiunto il suo scopo. Lo stato dell’Oklahoma ha dichiarato: “Siamo entusiasti che questa storia venga girata proprio dove ha avuto luogo, nella Contea degli Osage, e diamo il benvenuto alla produzione affinchè porti la storia delle nostre comunità e delle sue genti al pubblico di tutto il mondo”, ha dichiarato il governatore dell’Oklahoma Matt Pinnell, Segretario del Turismo e del Branding. “Sono estremamente orgoglioso di avere avuto l’occasione di mostrare il nostro Stato”.

L’obiettivo di coinvolgere gli Osage nella lavorazione del film non si è concluso con il casting degli attori. Lavorando in stretta collaborazione con la Commissione Statale del Cinema e della Televisione, la produzione ha iniziato ad assumere artigiani e operai Osage anche nei vari dipartimenti della produzione del film. L’artista Addie Roanhorse è diventata assistente alla scenografia mentre la consulente culturale Osage Julie O’Keefeè diventata un riferimento fondamentale all’interno del dipartimento dei costumi.

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L’anziano Osage John Williams ha svolto il ruolo di consulente culturale. Anche Vann Bighorse, direttore del programma linguistico della Nazione Osage, ha collaborato come supervisore della traduzione e dell’uso della lingua Osage nel film, e ha reclutato Janis Carpenter, Christopher Coté e Braxton Redeagle, insegnanti di lingua Osage, per insegnare al cast i rudimenti della lingua nativa parlata durante il film. Brandy Lemon, deputata della Nazione Osage, è diventata consulente della comunità.

Si può tranquillamente affermare che nessuna produzione cinematografica si sia mai impegnata in modo così completo con i discendenti delle persone di cui avrebbe raccontato la tragica storia, manifestando un tale rispetto per la comunità Osage.

A ulteriore dimostrazione della simpatia e dell’intesa tra gli Osage e la produzione, il 15 aprile 2021, quattro giorni prima dell’inizio formale delle riprese, i membri della Nazione Osage e più di 100 membri del cast e della troupe si sono riuniti su una collina vicino Bartlesville per una benedizione del territorio. O. J. Littlecook, membro della Nazione Osage e Archie Mason, membro del Comitato di Gray Horse Head, hanno pregato insieme e Gianna Sieke, principessa Osage, ha recitato il Padre Nostro. 
Mason dice: “Ho pregato per il successo della produzione, per lavorare in sicurezza, in buona salute, e ho continuato a fare da tramite fra la produzione, la Nazione Osage e la nostra gente”.

Scorsese ha preso la parola, dichiarando che il film è stato girato nei luoghi tradizionali degli Osage e ha espresso gratitudine agli antenati che hanno vissuto in quelle terre. DiCaprio ha ringraziato gli Osage per la loro generosità nell’ospitare la troupe cinematografica, dicendo: “È con grande riverenza e umiltà che raccontiamo questa storia incredibilmente importante”.

Durante la benedizione della terra, Chief Standing ha dichiarato: “Il rispetto che Martin Scorsese e la sua squadra di lavoro hanno mostrato nei nostri confronti è più di quel che potessimo mai sperare. Li ringraziamo per la loro sensibilità e apprezziamo il rispetto che ci ha mostrato David Grann”.

La cerimonia è stata un momento bellissimo e commovente, l’occasione migliore per dare il via alla produzione che è terminata il 15 settembre 2021, dopo 99 giorni di riprese.

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Ricostruire la città: la scenografia

Molti dei più fidati collaboratori di Martin Scorsese si sono ritrovati dietro la macchina da presa per girare Killers of the Flower Moon, compreso il direttore della fotografia Rodrigo Prieto (The Wolf of Wall Street, Silence, The Irishman), il compositore Robbie Robertson (Re per una notte, Il colore dei soldi, nonché chitarrista e cantante di The Band, che compare in The Last Waltz) la cui mamma era Cayugae Mohawk, e la montatrice Thelma Schoonmaker (che ha collaborato nella maggior parte dei film di Scorsese a partire da Toro Scatenato del 1980, che le è valso il primo dei suoi tre Oscar).

Hanno lavorato per la prima volta con Scorsese la costumista Jacqueline West (Revenant – Redivivo,Dune, Argo) e il leggendario scenografo Jack Fisk che vanta una carriera lunga quanto quella di Scorsese. Il primo grande successo di Fisk è stato il capolavoro di Terrence Malick del 1973 Badlands; ha lavorato con il filmmaker texano in diversi altri film fra cui I giorni del cielo, La sottile linea rossa e The Tree of Life. Esperto nella costruzione di set all’aperto, Fisk ha curato la scenografia di Mulholland Drive di David Lynch, Il petroliere di Paul Thomas Anderson e Revenant- Redivivo di Alejandro González Iñárritu, con Leonardo DiCaprio nel ruolo che gli è valso l’Oscar.

“Martin mi ha detto: ‘Ho sentito dire che sei in grado di allargare le immagini di un film, che puoi farlo sembrare più grande’”, racconta Fisk ridendo. “Adoro lavorare all’aperto. La mia fama riguarda la costruzione di set all’esterno, non nei teatri di posa.

Il compito di Fisk non era facile: raccontare la storia sulla terra degli Osage riutilizzando le strutture esistenti o costruendole ex novo. La città originale di Fairfax non c’era più, in parte è stata completamente rimodernata, mentre altre parti sono abbandonate al degrado. Bisognava mostrare i vasti spazi rigogliosi del territorio Osage, e allestire diverse abitazioni e uffici.

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“La Nazione Osage di recente ha comprato alcuni ettari di terreno nei pressi di Main Street a Pawhuska, dove c’era la vecchia stazione merci”, racconta Fisk. “La loro intenzione è quella di sgomberare l’area e trasformarla in un parco con un’area ricreativa. Gli abbiamo chiesto di posticipare i loro piani. Vedendo che la distesa si prestava perfettamente ai nostri scopi, abbiamo ottenuto il permesso di costruirvi la nostra stazione ferroviaria, con 900 metri di binari e una vera locomotiva. Era il posto perfetto.

Fisk si è occupato di cercarele location per le case e le piazza degli Osage. La vicina località di Pawhuskaha assunto le convicenti sembianze di Fairfax. “Per conferire il tocco finale alla ricostruzione della Kihekah Avenue, la strada è stata interamente ricoperta di terra”, spiega Fisk. “Questo ha uniformato tutto il set, rendendolo più western”.

Con tutti i mezzi impiegati, era lecito chiedersi perché non girare proprio a Fairfax che distava solo un’ora di viaggio? Spiega Fisk: “Fairfax è stata decimata nel corso degli anni, a causa di eventi naturali, tornadi, mancanza di investimenti, e usura del tempo. Molti edifici sono inagibili. I tetti sono pericolanti, non ci sono strutture in cui avremmo potuto lavorare in sicurezza, a differenza degli edifici di Pawhuska”.

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Al di là delle sue meticolose ricerche storiche, Fisk attribuisce alla sceneggiatura il merito di averlo guidato nelle sue creazioni. “Questo è un film incentrato sui personaggi”, dichiara. “Mia moglie è un’attrice.” (l’attrice premio Oscar Sissy Spacek che ha incontrato sul set di La rabbia giovane). “Rispetto agli altri scenografi, sono molto orientato sui personaggi. Le case dei personaggi, al di là del loro assetto topografico, sono molto importanti. Quando Martin ha visto la casa di Lizzie e Mollie, era soddisfatto perché ha trovato era esattamente ciò che aveva immaginato”.

È sorprendente che Fisk, un veterano di cinema di grande successo, abbia accolto con grande entusiasmo questa collaborazione. Descrive il lavoro con Scorsese: “Stimo molto Martin per la sua cultura cinematografica e lui stima me per il modo in cui cerco sempre il realismo”, dice Fisk, ricordando i quasi trenta film menzionati dal regista nel corso della loro prima conversazione. “Non mi piacciono neanche i romanzi perché non amo la finzione, infatti preferisco leggere riviste, guardare documentari e fotografie d’epoca, tutto ciò che mi può offrire uno sguardo sul passato. Per me i set sono come sculture, sono vivi, si plasmano insieme agli attori”.
 
Fisk considera Scorsese uno spirito affine. “La cosa bella di Martin è il suo approccio giovane ed entusiasta al cinema”, spiega lo scenografo. “Il suo entusiasmo è contagioso. Mi piacerebbe avere la sua mente. Ma è anche pieno di ricordi. Guarda e riguarda i suoi film per rivivere le emozioni”.
 
“Questo film è un western firmato da Martin Scorsese”, aggiunge Fisk. “È una storia vera che riguarda gli albori della nostra nazione. È un film sull’avidità e sull’amore. È un po’ come il grande classico Il gigante. Nell’arco di un determinato periodo di tempo, i personaggi si sviluppano ed evolvono. È un mondo che nessuno ha vissuto di persona, ma che trasporterà gli spettatori in una dimensione che fa ancora parte di tutti noi”.

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Fatti storici della nazione Osage

LA TERRA DEGLI OSAGE

Il popolo Osage acquistò la propria riserva in Oklahoma dove era stato costretto a ricollocarsi dopo aver lasciato il Kansas,intorno al 1870. 
Gli Osage sono stati gli unici nativi americani ad aver acquistato la loro riserva con i propri soldi.
Intorno al 1890 fu scoperto il petrolio nella riserva degli Osage.
I diritti minerari dovevano essere condivisi dall’intera Nazione Osage.

IL GOVERNO AMERICANO E GLI OSAGE

All’inizio del ventesimo secolo, il governo americano voleva privatizzare la riserva Osage (una porzione di ciò che fu in seguito denominato “Territorio indiano”) affinché l’Oklahoma potesse diventare uno stato. Il governo tribale degli Osage accettò di “assegnare” la proprietà di superficie ma negoziò per diversi anni con il governo statunitense per conservare la proprietà collettiva dei diritti minerari (diritti su tutto ciò che si trovava sotto la superfice) a beneficio dell’intero popolo Osage. La popolazione Osage ricevette il pagamento delle royalties per tutto il petrolio estratto nel territorio che oggi si chiama Osage County.

Le royalties petrolifere hanno contribuito a rendere gli Osage una delle popolazioni più ricche al mondo.

  • Gli “assegnatari” originari ricevevano i cosiddetti headrights una quota delle royalties per i diritti minerari. Gli headrights potevano essere trasferiti solo per via ereditaria, cioè dalla famiglia o dal coniuge. Fin dall’inizio, il sistema si rivelò fallace. Alcuni assegnatari non Osage erano infatti riusciti a farsi strada nel sistema ottenendo terreni e quote di headrights.
    Dopo il Regno del Terrore, il popolo Osage persuase il Congresso, nel 1925, ad approvare una legge che proibiva chiunque che non fosse almeno metà Osage, di ereditare headrights da un membro della tribù.
    Gli Osage erano considerati “incapaci” quindi con l’aumento della loro ricchezza derivante dalle royalties petrolifere, il governo statunitense istituì un sistema di custodia legale ideato per aiutarli a gestire il loro denaro. I tutori erano uomini bianchi con la facoltà di gestire i conti correnti degli Osage. Le royalties del petrolio furono depositate da parte degli Osage in un deposito fiduciario del governo statunitense. Tuttavia, si sviluppò un sistema di frode, corruzione e inganno per cui i cittadini Osage furono derubati di milioni di dollari proprio tramite questo sistema di tutela.

ULTERIORI INFORMAZIONI

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Pubblicazioni:

  • “A History of the Osage People” di Louis F. Burns
  • “The Underground Reservation: Osage Oil” di Terry P. Wilson
  • “The Osages: Children of the Middle Waters” di John Joseph Mathews
  • “Wedding Clothes and the Osage Community: A Giving Heritage” di Daniel C. Swan e Jim Cooley

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