Il Bad Movie della settimana è Napoleon, uscito al cinema il 23 novembre.

napoleon recensione

The Last Duellist

Dopo The Last Duel ecco un film che potremmo ribattezzare scherzosamente The Last Duellist, ovvero il biopic su Napoleone Bonaparte. L’ultima impresa di Ridley Scott dialoga con il suo primo lungometraggio I duellanti (1977) e con il suo penultimo The Last Duel (2021; uscito nello stesso anno di House of Gucci). Perché tutto questo interesse per l’argomento e la parola (duel) da parte dell’ottantacinquenne regista inglese? Forse perché l’uomo, il maschio, spesso ha visto nel corso della Storia quest’atto come il massimo esempio della selezione naturale del più forte e valoroso sul più debole e quindi perdente dai tempi di Romolo e Remo o Davide contro Golia? È il test definitivo per mettere alla prova la nostra reale capacità di incidere? È la prova con cui Dio decide chi ha ragione e chi no? Sappiamo che era un metodo sbrigativo per delineare chi vincesse un processo o una causa civile, come racconta proprio The Last Duel, ricordandone un ultimo esempio registrato negli annali francesi, compiutosi in epoca medievale più specificamente nel 1386. I duellanti raccontava le varie sfide tra due cavalieri dell’esercito napoleonico: il nobile figlio della pacatezza del lignaggio D’Hubert (Keith Carradine) vs il borghese famelico, storicizzato, irrequieto e fanatico “bonapartista” Feraud (Harvey Keitel). Vinceva il nobile perché meno ossessionato e il borghese fanatico veniva inquadrato alla fine da Scott citando un quadro di Benjamin Robert Haydon dal titolo Napoleone Bonaparte.

Buffo, no? Il soldato napoleonico diventava, nella sconfitta e nel seguente esilio, egli stesso Napoleone, nell’ultima inquadratura del primo film di un regista che aveva esordito omaggiando il Kubrick di Barry Lyndon (1975; tanti duelli anche in quel film). Colui che si era battuto ispirato da un chiaro conflitto di classe, veniva associato da Scott proprio a quel Bonaparte che avrebbe attraversato la Storia come un veemente “uomo nuovo” animato da ambizione sfrenata, proveniente dall’isola malfamata della Corsica, testimone della Rivoluzione Francese, arrampicatore sociale facendo irruzione nei salotti bene come un gangster coatto che fissa troppo a lungo le signore (quello che gli dice la prima moglie Joséphine) ed è eccitatissimo dal femminile aristocratico della serie: “Chi mai avrebbe pensato che sarei riuscito a farci l’amore?”.

Quando penetra compulsivamente Joséphine sembra di vedere le scene di sesso alienanti dei D’Innocenzo ne La terra dell’abbastanza (2018). In pochi anni dalle stalle alle stelle: dal 1793 della prima battaglia importante vinta per la Repubblica a Tolone all’incoronazione a Notre-Dame come primo Imperatore di Francia nel 1804. Ne I duellanti l’ideologia dei due ufficiali era tutto, forse troppo. Erano stracolmi di prosopopea cavalleresca. A questo Napoleone non gliene frega niente di niente. Duellare per loro era come respirare e soprattutto per Feraud era un modo di rivoluzionare la società quantomeno ai suoi occhi di “uomo nuovo”. The Last Duel (2021), grande film uscito dal bizzarro trio di sceneggiatori Nicole Holofcener, Ben Affleck e Matt Damon, aveva un altro intento: mettere alla berlina due tipologie di cavalieri (il rozzo e testardo; il raffinato e manipolatore) entrambi esempi di orrido maschilismo dentro il patriarcato attraverso un punto di vista femminile che finalmente prendeva il controllo del racconto (giusta ossessione -vedi anche l”enorme uso del termine “oggetivazione”- del movimento cinematografico anglosassone del women’s empowerment) attraverso il personaggio di Marguerite de Carrouges affidato a Jodie Comer. E questo Napoleone?

Napoleon battaglia austerlitz

Satira

Sarà che siamo reduci dal Covid, sarà che se il mondo finisce nei prossimi anni, o viene drammaticamente sconvolto da sovrappopolazione e surriscaldamento globale, sarà difficile che a qualcuno, soprattutto delle nuove generazioni, freghi più niente di battaglie, onore, guerre, potere, confini, medaglie, strategie, tattiche, vittorie e/o sconfitte… ma abbiamo trovato il film di Ridley Scott sostanzialmente una satira e il suo protagonista senza Stato e Dio, vuoto e disilluso come molti di noi oggi. Una satira, uscita dalla penna acida dello sceneggiatore David Scarpa, dei guerrieri, dei cavalli (torna alla mente Barbie), delle navi, della politica (tutti che urlano ed entrano in contraddizione dopo cinque secondi), di noi umanità che celebriamo chi manda a morire 3 milioni di soldati in 61 battaglie (il film ne fa vedere 6) o di noi popolo che uccidiamo i Re e poi incoroniamo dopo due secondi gli Imperatori.

Effettivamente il film, se lo vedi così, fa ridere amaramente e nemmeno poco. Due momenti emblematici in questo senso: la figura del militare e statista francese che cade come un pupazzetto o calciatore del subbuteo o soldatino di guerre tra bimbi o anche pedina degli scacchi quando un giocatore la “sdraia” con una schicchera delle dita. Lo vediamo nell’ultima inquadratura di spalle, l’onnipresente feluca in testa, senza luce e quindi completamente spersonalizzato e reso oggetto scuro, insignificante. Non è un uomo bensì una pedina della Storia, un soldatino, una action figure riconoscibile sostituibile con qualcos’altro. Una chiusa di cattiveria unica. Prima, verso l’inizio, un altro leader della Storia era stato trattato con identica ferocia umoristica da Ridley Scott. Trattasi di un faraone, quando Napoleone ci tiene tanto a scrutarlo negli occhi dopo che ha conquistato le Piramidi d’Egitto nel 1798 sparando loro contro (falso storico del film). Salendo su uno sgabello per guardare negli occhi la mummia essiccata dentro un sarcofago, Napoleone viene frustrato perché anche quel grande leader, ridotto a carne essiccata, casca in modo buffo da una parte negando il pomposo eye contact con quel militare francese mingherlino che lo indagava oscenamente per scorgere il senso.

napoleon wellington

Caricatura

Per cui ovvio che i francesi si siano incazzati. Il Napoleone tratteggiato da Ridley Scott è una caricatura (la satira dell’arte visiva) della mascolinità imperialista del passato (che chiaramente il film si auspica non sia più così presente in futuro) anziché un quadro epico e magniloquente stile Jacques-Louis David, come quando il pittore francese ritrasse Bonaparte incoronato a Notre-Dame nel 1808. Scott, che ha sempre avuto una venerazione per pittura e pittori vedi citazioni di Haydon ne I duellanti o Gericault per Il gladiatore (2000), mette proprio David dentro il suo film e lo inquadra in ansia da prestazione attento com’è a cogliere l’attimo, per poi enfatizzarlo in chiave di pittura di propaganda, dentro la chiesa in quel preciso momento della Storia. Scott è più rilassato di lui. Ha 85 anni, l’ansia non sa cosa sia, ha realizzato quelli che ancora oggi vengono venerati come capolavori della settima arte come Alien (1979) e Blade Runner (1982), è “morto” e “resuscitato” almeno una volta durante la sua poderosa filmografia (dopo il flop di Soldato Jane del 1997 tutti a Hollywood lo consideravano finito) e soprattutto non è francese.

Non ha alcun interesse a ritrarre Napoleone come un esempio o un’eccezionalità positiva della Storia come anche ci veniva raccontato a scuola negli anni ’80 come primo esempio di “uomo moderno” anticipatore dei grandi leader del ‘900. Napoleon racconta invece giovinezza, clan con il fratello tipo mafia o gangsterismo con mamma autoritaria (modello: La furia umana di Raoul Walsh), ascesa e rovina del condottiero poi imperatore nato in Corsica, voyeurismo asettico (il giovane Bonaparte osserva distaccato la decapitazione di Maria Antonietta nel 1792) battaglie di letto e di campo. Quelle romantiche pare perderle sempre (Vanessa Kirby è una Joséphine sprezzante che quasi lo manipola e lo controlla soprattutto quando capisce i suoi basici gusti sessuali) mentre quelle con cannoni e cavalli (gli inglesi hanno le navi e questo lo fa comicamente sbraitare) lo vedono brillante stratega e tattico (ma il film non scende nei dettagli di questa perizia) fino alle disfatte di Russia e Waterloo.

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Conclusioni

È un Napoleone che ride e ridacchia. Spesso. E si trova benissimo con i bambini. Come a dire che capisce e stima chi ancora non è schiavo delle ipocrisie, delle fedi, delle ideologie e degli inutili orpelli che ci inventiamo noi adulti per dare un senso al mondo? È interessante questo Napoleone di Joaquin Phoenix perché delle tre parole che si dice il condottiero abbia pronunciato sul letto di morte (Francia, esercito, Joséphine) a noi sembra che nel film sia vagamente interessato solo all’ultima. Francia? Pare che non gliene freghi assolutamente niente (lui è “delinquente corso” d’altronde) come tanti politici della contemporaneità ci sembrano, in Italia ma anche altrove, completamente avulsi da patria e/o ideologie ma solo interessati alla febbre d’avventura personalistica che di solito si esaurisce in pochissimi anni (proprio come Napoleone). Esercito? Fa tanto l’amicone dei soldati che muoiono per lui (c’è solo una scena in cui vediamo l’interazione) però poi alla fine dice che ha perso Waterloo per colpa di ufficiali sottoposti che non hanno compreso i suoi comandi. Joséphine? L’ha amata perché era un pezzo di aristocrazia che aveva posseduto o pensato di farlo. L’ha considerata un’amica perché insieme erano come Bonnie & Clyde e quindi va bene scriversi con lei anche dopo averla rinnegata e lasciata perché nessuno ce lo toglie dalla testa: questo Napoleone di Ridley Scott è il più nichilista e menefreghista di tutti quelli visti al cinema fino ad oggi. E Joséphine è l’unica che lo avesse capito. Era colui con cui condividere umoristicamente il ricordo di aver abitato in palazzi sempre più grandi e lussuosi, di essere cresciuti in ricchezza e di aver giocato a fare l’Imperatore e l’Imperatrice. Come se solo lei avesse potuto sapere che in fondo, a quel giocatore spericolato, nulla in fondo interessava se non lei come testimone intima del gesto e dello scherzo.

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