La nostra grande classifica ragionatissima di tutti i film dello Studio Ghibli

Ventidue film, ventitré con E voi come vivrete?, l’ultimo di Hayao Miyazaki (in uscita prossimamente), lo Studio Ghibli non ha una produzione sterminata, 37 anni con meno di un film l’anno e un livello qualitativo impossibile da replicare che ha portato a un’influenza su tutto il resto dell’animazione mondiale (e anche sul cinema dal vero) impossibile da sottostimare.

La classifica indiscutibile dei ventidue film Ghibli che è possibile vedere (non c’è E voi come vivrete?) tiene conto di tutto, del successo chiaramente, del gradimento, delle difficoltà, dell’innovazione, della follia totale di alcuni progetti, della ricchezza dell’esito e dell’influenza nel mondo. Una classifica discutibile come tutte le classifiche sono. Anzi, un po’ meno delle altre.

Nota: non abbiamo incluso Nausicaä della Valle del vento poiché sebbene sia spesso considerata una produzione dello Studio Ghibli, è stata realizzata prima della sua fondazione ed è prodotta da Topcraft, Tokuma Shoten, Hakuhodo, Nibariki.

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I racconti di Terramare (2006) di Goro Miyazaki

È forse il momento più basso dello studio perché coincide con un tentativo elevato, sopra le forze delle persone coinvolte, e che si traduce in un caos narrativo e una pochezza immaginifica sconfortanti.

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Earwig e la strega (2020) di Goro Miyazaki 

Come Sansone senza capelli lunghi, il Ghibli senza disegno a mano perde tutta la sua forza. Il primo film in computer grafica poteva essere un modo per lo studio di sopravvivere con una nuova linea di produzioni ma né Keiko Niwa alla sceneggiatura, né Goro Miyazaki (figlio di Hayao) alla regia hanno trasformato tutti i luoghi comuni dello studio in qualcosa di vero.

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La ricompensa del gatto (2002) di Hiroyuki Morita

Lo spin-off di I sospiri del mio cuore non è nemmeno lontanamente paragonabile, somiglia ad una versione annacquata di quel film e contiene alcuni dei conflitti meno conflittuali messi in piedi dal Ghibli.

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Quando c’era Marnie (2014) di Hiromasa Yonebayashi

Ancora Keiko Niwa alla sceneggiatura, stavolta con Yonebayashi alla regia. Il progetto era in teoria perfetto, a metà tra la fantasia di Miyazaki e la concretezza di Takahata, ma è troppo generico e senza personalità lo svolgimento.

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I sospiri del mio cuore (1995) Yoshifumi Mondo

Spesso nel Ghibli è successo che altri registi cercassero di realizzare film a partire da idee, soggetti o sceneggiature di Miyazaki e mai l’esito è stato significativo. Questo perché la scrittura di Miyazaki è buona solo per sé, è funzionale alle immagini e alla sua capacità di animare quelle storie con movimenti, composizioni e in certi casi anche solo suggestioni che non funzionano da solo, ma unicamente nel modo in cui sono resi.

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Si sente il mare (1993) Tomomi Mochizuki

Produzione per la tv con tutti i limiti del caso, spunto romanzesco e storia così concreta da superare i limiti di Mochizuki e trovare alla fine un’umanità onesta.

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La storia della principessa splendente (2013) di Isao Takahata

Faticoso da produrre, attesissimo e molto anticipato, l’ultimo film di Takahata non è minimamente all’altezza dei suoi migliori, è uno studio visivo là dove quello che i film di Takahata hanno di bello è sempre la scrittura.

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Arrietty (2010) di Hiromasa Yonebayashi

Primo di un dittico sceneggiato da Niwa/Miyazaki, in cui la prima irregimenta le idee del secondo, Arrietty è il più delicato e sensibile tra i film non diretti da Takahata o Hayao Miyazaki, il più sottile e sofisticato.

Yamada

I miei vicini Yamada (1999) di Isao Takahata

La vita per come si svolge, l’ambizione che si è fatta strada ad un certo punto lungo gli anni 2000 nel cinema era già qui, in questa storia fatta di piccoli quadri animati con uno stile bozzettistico (sia nella scrittura che nel disegno), un vero esempio di minimalismo nipponico.

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Ponyo sulla scogliera (2008) di Hayao Miyazaki

Il film più confuso di Hayao Miyazaki, nondimeno un’opera di estrema efficacia, irrazionale nello svolgimento, fanciullesco nei contrasti e negli intenti e alla fine spuntato nell’esito.

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La collina dei papaveri (2011) di Goro Miyazaki

Il film più onesto e sfacciato di Goro Miyazaki, una storia di liceo, ragazzi, nostalgia, commedia e grandissima fiducia nei valori base della società giapponese. Di nuovo ci sono Hayao Miyazaki e Keiko Niwa alla scrittura e qui tutto sembra perfetto.

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Pom Poko (1994) di Isao Takahata

Uno dei film più folli di Takahata, storia di animali che vengono dal folklore nipponico (più o meno dei procioni), in lotta per ragioni ecologiste nell’era moderna. Animali con testicoli giganti che sembrano uscire dal passato, lottano e combattono nel Giappone degli anni ‘90. La forza incredibile di Takahata sta nel fatto che tutto funziona.

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Il castello errante di Howl (2004) di Hayao Miyazaki

È il film che arriva dopo il successo mondiale di La città incantata, il Ghibli è in una nuova fase della sua vita, non è mai stato così famoso e noto. La storia è confusissima ma il miracolo di Miyazaki è di riuscire a svicolare la logica e obbligare il pubblico a ragionare d’intuito. Lo prende per mano e lo convince che la cosa più bella e soddisfacente che ci sia non è capire ma empatizzare.

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Laputa – Il castello nel cielo (1986) di Hayao Miyazaki

È il film che porta a una sintesi tutto il primo periodo della produzione di Hayao Miyazaki. Ci sono i bambini in un mondo allo sfascio di Conan, c’è la natura in lotta per la supremazia di Nausicaa, i cattivi che non sono proprio cattivi e una minaccia gigante. Un film adorabile in cui quello che altrove è solo uno scenario, diventa un mondo coinvolgente.

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Kiki consegne a domicilio (1989) di Hayao Miyazaki

Non è per niente frequente che un lungometraggio abbia uno spunto e una storia così piccoli, quasi da serie animata. Miyazaki si permette il più semplice degli svolgimenti perché vuole raccontare un profilo di donna senza clamore, senza eroine, senza la fanfare dell’eccezionalità. L’apparente mancanza di sforzo con cui ci riesce è fuori dal mondo.

Totoro

Il mio vicino Totoro (1988) di Hayao Miyazaki 

Quando nel Ghibli tutto gira per il verso giusto è possibile unire il massimo del commerciale e della vendita, con il massimo del sensibile. Totoro è la mascotte dello studio, la punta più avanzata del suo marketing eppure è anche lo spirito delle storie Ghibli, qualcosa che esiste nel mondo della natura e che accompagna i personaggi più innocenti attraverso le sventure più pesanti con una leggerezza inspiegabile che entra in contatto subito con l’animo degli esseri umani.

si alza il vento

Si alza il vento (2013) di Hayao Miyazaki

Probabilmente la più grande biografia per interposta persona che sia mai stata realizzata. Il protagonista non è Hayao Miyazaki ma non c’è momento in cui non parli di sé. Esistono in questo film momenti capaci di unire la complessità delle idee che confliggono, le contraddizioni umane e mettere insieme tutto senza che stoni. Ecco perché le sceneggiature di Miyazaki non possono essere realizzate se non da lui stesso. Nessun altro sarebbe capace di questo. Almeno non così.

tomba per le lucciole

Una tomba per le lucciole (1988) di Isao Takahata

Forse il film più straziante della storia del cinema. Una storia di guerra in cui non c’è mai il fronte vero ma solo quello interno. Una storia di devastazione umana e interiore senza nessuna pietà. Se c’è un marchio che sì può attribuire al Ghibli è la capacità di commuovere mostrando il meglio degli esseri umani, questo film invece va tutto dall’altra parte toccando l’estremo opposto più estremo che esista. Obiettivamente non per tutti.

pioggia di ricordi

Pioggia di ricordi (1991) di Isao Takahata

Non si può dire di conoscere il cinema di Isao Takahata senza aver visto questo film. Storia di una donna impiegata d’ufficio in città, dei suoi sentimenti, delle sue emozioni e di un desiderio di amore così ordinario e profondo che non è possibile non riconoscere in esso qualcosa che esiste dentro ognuno di noi. Mai un film d’animazione aveva raccontato la vita degli adulti comuni nel Giappone moderno. Commercialmente folle (film animato per soli adulti indirizzato prevalentemente alle donne), artisticamente sublime.

Mononoke

La principessa Mononoke (1997) di Hayao Miyazaki

Questo è esattamente quello che tutto il mondo si aspetta dall’animazione giapponese, una storia fantastica di dei e demoni, maledizioni e finali apocalittici, vagamente ambientata nell’epoca feudale, con eroi ed eroine. Passata attraverso il filtro di Miyazaki però l’avventura diventa un profilo femminile unico, in cui la capacità di animare l’azione e l’ardore umano si mescolano con un carattere fantastico. Che non è nemmeno la protagonista! La principessa Mononoke è attraente non perché sia bella (non solo) ma perché ha il carattere più umano e carismatico di tutti, è viva, è arrabbiata, è sensibile, è ardimentosa. E tutto si tiene insieme come fosse interpretata dalla miglior attrice in vita. E invece è solo animata dal miglior animatore in vita. Questo film forse contiene l’entrata in scena più significativa di tutto il cinema del Ghibli, con l’espressione dura, la veste da lupo e il volto sporco di sangue.

porco rosso

Porco rosso (1991) di Hayao Miyazaki

Parte pura ossessione per il volo e i motori, parte allegoria (il maiale simboleggia l’ignavia), parte esotismo da costiera italiana (e funziona anche per noi!), parte grandissimo film d’azione, parte ancora piccolo anfratto dentro il quale schiacciarsi per poter passare e arrivare al cuore barricato di un protagonista che ha rinunciato a vivere, ha i suoi traumi ma trova una strana voglia di essere migliore in una ragazza per la quale non ha un interesse romantico ma un amore infinito, Porco Rosso è il più semplice e al tempo stesso complesso film del Ghibli. La trama che fila perfettamente (fa ridere a dirlo, ma è una rarità nel cinema di Miyazaki) eppure lo stesso sa ritagliarsi tantissimi momenti che si comprendono solo con l’intuizione, lasciando buchi che invitano ad essere riempiti da ogni spettatore con la propria sensibilità. E poi dentro c’è Miyazaki stesso.

la città incantata

La città incantata (2001) di Hayao Miyazaki

Non si può dire che un film solo abbia contribuito a cambiare l’opinione collettiva sullo statuto dell’animazione. Eppure se si potesse dire questo film sarebbe La città incantata. Responsabile per l’iniziazione al cinema animato di moltissime persone, è una macchina di creatività e fantasia come non se ne sono più viste, in cui una bambina in lotta per il recupero dei propri genitori in realtà lotta per ricordare il proprio nome. Non c’è niente di usuale in questo film, da un villain che scopriamo avere un doppio buono, da personaggi fantastici che compaiono solo per pochissimi secondi e rimangono memorabili, da genitori insopportabili, fino ad un character design imbattibile anche per i personaggi sullo sfondo. Ogni singolo momento dei tantissimi che tappezzano questo viaggio in un paese delle meraviglie che è in parti uguali prigione e paradiso, ha la fantasia la cura e la creatività di un lungometraggio a sé. Come se la fantasia di Miyazaki ad un certo punto avesse bruciato tutta insieme con l’intensità di cinque film concentrata in uno, rappresenta il passato ma appartiene al futuro. Quando alla fine Chihiro ricorda chi sia Haku è la scoperta più strana e imprevedibile di tutte (almeno per il pubblico occidentale): un principe che è un drago che è un fiume. Eppure ancora una volta nel cinema di Miyazaki tutto si tiene insieme miracolosamente con una coerenza che non ha niente di spiegabile e tutto di intuibile. Alla fine questa sembra l’unica maniera in cui, per noi che guardiamo, è possibile capire chi siamo e cosa proviamo.

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