Alla fine l’impatto dello sciopero degli sceneggiatori e degli attori sul programma di Venezia 80 è stato minimo come già nei giorni scorsi era sembrato. Lo ha detto Alberto Barbera, direttore della mostra di Venezia, nell’iniziare la conferenza di annuncio del programma. Non lo sapremo mai se davvero è così, se cioè film come Napoleon e Assassinio a Venezia non ci sarebbero stati comunque o se Saltburn di Emerald Fennel già non fosse nei programmi della mostra. Di certo a parte questi tre titoli, tutti gli altri film degli studios che si ipotizzava sarebbero stati alla mostra ci sono effettivamente. C’è moltissimo Netflix, come sempre, c’è Disney e c’è Paramount con un film che finirà su Showtime (The Caine Mutiny Court-Martial di William Friedkin). Sempre Barbera ha poi precisato che gli attori dei film indipendenti ci saranno. È difficile da credere e sarebbe clamoroso perché questo includerebbe il cast di Ferrari di Michael Mann (tra cui Adam Driver e Penelope Cruz) e quello di Memory di Michel Franco (tra cui Jessica Chastain e Peter Sarsgaard). Senza contare Lily James e Willem Dafoe per il film italiano Finalmente l’alba. Uniche iscritte alla WGA a rischio invece sono Ava DuVernay e Sofia Coppola (il cui film però è indipendente quindi potrebbe essere libera di intervenire).

Quella annunciata è una mostra a trazione Netflix (se si parla di cinema americano) in cui gli altri sono al massimo presenti con un titolo (vale per Disney e Paramount ma anche per Neon e A24 che porta Priscilla di Sofia Coppola). Soprattutto sembra che solo i film Netflix siano materiale da Oscar (non è chiaro se Povere creature! lo sia realmente). C’è chi ipotizza che Netflix sappia qualcosa che gli altri non sanno, cioè che ci sia il piano di un accordo tra la sola piattaforma e la SAG da annunciarsi prossimamente che le consentirebbe di portare gli attori al festival e iniziare la campagna Oscar.

adagio

In totale Barbera e Venezia sembrano ormai usciti indenni dalle polemiche del 2017 e 2018, quelle sul trattamento riservato alle donne, sulla mascolinità tossica del festival e su come blandisca figure altrove ostracizzate. La mostra del 2023 è capace di tenere insieme nel programma sia film che lavorano sull’avanzamento della femminilità, sia 5 registe donne in concorso (solo una meno di Cannes), sia i più odiati tra i cancellati (Polanski e Woody Allen). Senza problemi. È la linea che il festival tiene da sempre: cioè quella di non badare al sesso, distinguere uomo e regista e in buona sostanza selezionare i film più che gli autori. Non è interamente vero, anche al Lido come ovunque per fortuna sono molto lievitate le registe donne in concorso negli ultimi anni, ma sicuramente è il festival che più di tutti fa convivere anime diverse e che meno di tutti ha paura dell’opinione di chi per lavoro o per diletto ne elargisce.

È anche l’anno di 6 film italiani in concorso. Ci sono state edizioni in cui Barbera si era scusato per averne messi addirittura 4 e alcune in cui alcuni ne aveva fatti scalare a Orizzonti per non esagerare. Quest’anno 6! Comandante, Io Capitano, Enea, Finalmente l’alba, Adagio e Lubo (quest’ultimo una coproduzione con la Svizzera). Sei film di cui quattro sono dei kolossal o per il costo (Finalmente l’alba) o per le ambizioni (Adagio) o per il tipo di trama e il piglio (Comandante) o ancora per l’ampiezza dello sguardo e l’epica del racconto che promette (Io, Capitano). Sei film di cui quattro con Rai Cinema/01 Distribution e gli altri due (Enea e Adagio) prodotti da TheApartment e distribuiti da Vision. Fremantle (società madre di TheApartment) tramite Wildside poi è tra i produttori di Finalmente l’alba per un totale di tre prodotti o co-prodotti. Lo sapevamo ma la mostra lo certifica: queste sono le realtà grosse italiane. TheApartment poi è anche tra i produttori di Priscilla di Sofia Coppola. Sarà realmente interessante capire come saranno accolti questi film, prima ancora di capire come siano effettivamente. Non è mai capitato che l’Italia avesse così tanti film costosi, grandi e importanti in concorso. 

coup the chance

Chi paventava un festival disertato dagli americani e quindi sostanzialmente europeo e asiatico (altre opzioni in caso di ritiro degli americani del resto non è che ce ne fossero) non solo ha sbagliato ma di grosso, perché di cinema asiatico ce n’è pochissimo (Hamaguchi e Tsukamoto sono i nomi più rilevanti) ma anche quello europeo è presente con sparuti grandi nomi (più che altro francesi) e manda avanti esordienti e giovani. La cosa è una buona notizia per tutti tranne che per i cronisti orfani degli attori americani da intervistare e in cerca di sostituti e panchinari europei con cui sostituirli. Chi cerca film invece non può che essere incuriosito da un fuori concorso che somiglia molto al concorso (almeno sulla carta) per scelte e nomi, e da un concorso con più di una scommessa sia di altro profilo (davvero Dogman reggerà il peso del concorso?) sia di basso (i nomi meno grossi).

La vera grande mancanza è come sempre l’evento. Cioè la presenza o l’organizzazione di qualcosa che si promette clamoroso. Reunion, retrospettive fantasiose, film a sorpresa, apparizioni e convegni di altissimo profilo, tutto quello che non sono i film ma che attira l’attenzione con la promessa di unicità. Non è caratteristica della gestione Barbera (ma non è che la concorrenza del circuito dei festival di serie A faccia granchè di più) che antepone, di nuovo, i film a tutto il resto e che in dieci anni ha portato a un programma dell’edizione 80 che per prestigio e sofisticazione dei titoli tra concorso e fuori concorso è perfettamente sovrapponibile a quello di pochi mesi fa visto a Cannes (che sembra avere ancora il dominio sulle scoperte e gli emergenti delle sezioni laterali, per non dire quelle indipendenti). Dieci anni fa sarebbe stato impensabile.

SPECIALE FESTIVAL DI VENEZIA

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