Ogni volta che si incontra Takeshi Kitano c’è un’aria di presa in giro.

La mediazione dell’interprete è obbligatoria, Kitano capisce l’inglese (infatti le domande non vengono tradotte) ma non lo vuole parlare come spesso capita con i giapponesi se non si sentono oltremodo sicuri di padroneggiare la lingua, si crea così quest’aria surreale per la quale il suo tono perentorio fa prima ridere l’interprete e poi arriva la versione inglese, inevitabilmente depotenziata ma comunque assurda, della risposta.

In questa versione ulteriormente tradotta (in italiano) e per giunta scritta, è difficile che passi la demenziale calma e tranquillità da Buster Keaton con cui questo genio del cinema ha preso in giro i 4 giornalisti che assieme a noi lo hanno intervistato. Ma è stato come sempre bello.

L’intervista è piena di spoiler su Outrage – Coda (leggi la recensione).

Otomo è un agente del caos, come spesso capita a Beat Takeshi. E lei, anche nella sua parentesi di intrattenitore televisivo, fa più o meno la stessa cosa, porta caos imprevisto nell’ordine. È una filosofia in cui crede?

“Sì mi piace anche a me portare caos. In Giappone sono noto come uno che crea problemi. Vado in televisione e se vedo qualcosa di sbagliato lo dico, di fatto smantellando il mondo dello spettacolo. La cosa strana è che se mi guardo indietro fino ad ora non ho mai sbagliato a comportarmi così, quindi non intendo smettere”.

Adesso cosa vorrebbe girare?

“Una storia d’amore su un uomo che che cerca di conquistare una donna ma senza usare la tecnologia. Non la posso interpretare io però. Al massimo io posso fare una storia di alzheimer”.

Quando il primo film della trilogia Outrage fu preso a Cannes lei commentò dicendo che probabilmente era uno scherzo. Ora che è a Venezia?

“Sono contento che questi film abbiano questo tipo di riconoscimenti. Il fatto di essere ospitato ai festival mi ha fatto molto interrogare su che senso abbia continuare a proporre la violenza nell’intrattenimento, anche perché il terrorismo non lo rende facile. Mi deprime la situazione che vivo, ma rimango convinto che il cinema violento sia un genere fondamentale e deve continuare ad esistere”.

Perché la violenza è così importante al cinema? Cosa ci attrae come spettatori in essa e cosa attrae gli scrittori e i registi?

“Chiunque è vivo sa cosa sia la morte eppure non sa cosa lo aspetti, ne è incuriosito. La violenza è il più universale dei temi, ci collega tutti. Del resto anche molto dello sport funziona e attrae per il medesimo principio: creare situazioni estreme vicine alla morte”.

Ha influito nel suo rapporto con la morte sullo schermo il suo incidente motociclistico?

“Sono stato dichiarato clinicamente morto, quindi sono proprio tornato dalla morte. Quando mi sono ripreso la mattina facevo fatica ad aprire gli occhi perché temevo ancora di stare in ospedale. Sono passati 20 anni ma mi sento ancora traumatizzato.
Eppure tutto ciò non ha cambiato il modo in cui vedo la vita. Molte delle persone che passano attraverso esperienze simili si concentrano sul vivere ogni momento, io invece penso che adesso che sono già morto potrò morire tranquillamente in ogni momento. Se mi annoio magari muoio.
Di certo ora voglio fare intrattenimento fino a che muoio, così che poi l’arrivo della morte sia una ricompensa per tutto quello che ho fatto”.

Ci sono diversi decessi fantasiosi nel film, la diverte inventarne?

“Ce ne sono almeno due, di cui uno Hanada seppellito per terra fino al collo in attesa che passi una macchina. Sono personaggi esterni alla yakuza o magari poco professionali, che stanno dentro le organizzazioni per denaro e basta. Tramite loro mi piaceva ironizzare su tutte quelle persone che incontriamo nella vita vera e non sono per niente professionali, che odiamo ma a cui non possiamo fare niente. Invece nel film hanno quello che si meritano”

Secondo lei c’è un rischio collegato al mostrare la violenza? Quello dell’emulazione o di fare da cattivi maestri…

“Molti dicono che la violenza come quella dei miei film può avere una cattiva influenza sui bambini. Ma questo è un problema dei genitori di quei bambini. A me per fortuna non me ne frega niente”.

Alla fine di Outrage il suo personaggio, Otomo, muore, con lui finisce anche la storia o continuerà senza?

“Mi piacerebbe che tutti pensassero che la storia continuerà ma in realtà è la fine. Otomo è molto fedele a mr. Chang, che è molto influente in Giappone. Essendo Otomo un uomo vecchio stampo ciò che lo spinge a lavorare è il senso del dovere. Dunque già in Outrage Beyond avevo pensato che sarebbe potuto morire, perché questa è l’unica fine sensata per lui, altrimenti sarebbe andato avanti per sempre a comportarsi nella stessa maniera. Inoltre, proprio per essere uno della vecchia scuola Otomo morendo assolve al suo compito fino alla fine”

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