I premi chiamano premi. È stato in conferenza stampa a Venezia che Guillermo Del Toro, dopo il Leone per La forma dell’acqua, ha cominciato a menzionare il fatto che forse questa vittoria poteva aiutare il suo Pinocchio a trovare un finanziamento. Poi l’Oscar per quel film ha cementato ancora di più la solidità di Del Toro e il film si è fatto con 35 milioni di budget per Netflix. E si è fatto come diceva Del Toro. Finendo per stravincere nella categoria miglior animazione. Pinocchio è un film bellissimo, per nulla convenzionale, audace e senza compromessi. Quando nel 2017 La forma dell’acqua (un film decisamente più convenzionale e sicuro) aveva vinto in molti si infastidirono (era l’anno di Dunkirk, Il filo nascosto e Tre manifesti ad Ebbing, Missouri), ma quella vittoria di un film popolare ha portato alla creazione e vittoria di questo film fuori dai canoni.

Teniamo a mente questa cosa quando pensiamo agli Oscar, che non sono mai stati un premio alla qualità o al merito effettivo di film, tecnici e attori, ma un premio alle storie, cioè alle campagne Oscar che quelle storie produttive le enfatizzano, pubblicizzano e diffondono. La storia di Ke Huy Quan che tiene duro e nonostante la caduta in disgrazia trova di nuovo il successo; la storia di Brendan Fraser e del suo ritorno; la storia di Michelle Yeoh, donna di mezza età asiatica in America e via dicendo. Non c’è niente di scandaloso, anche quando vinceva Il ritorno del re a trionfare non era il suo merito ma la sua storia produttiva innovativa. Quando vincevano Qualcuno volò sul nido del cuculo o Marty o L’ultimo imperatore, era sempre la loro storia produttiva a portarli in trionfo.

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La storia di Everything Everywhere All At Once

Adesso è la storia di Everything Everywhere All At Once ad aver vinto, quella perfetta per i nostri anni del cinema, quella di un film andato in sala e non venduto allo streaming (nonostante le molte insistenze) che ha realizzato il sogno definitivo di Hollywood da sempre: spendere poco e incassare molto. Un budget di 14 milioni (promozione esclusa) e un incasso di 104 milioni in tutto il mondo. E soprattutto quella di un film che gioca nel terreno dei cinecomic ma opponendosi a essi.

L’Academy, che poi è il complesso delle persone in vita che hanno fatto e stanno facendo la storia di Hollywood, non ama i film di supereroi. Non ama nemmeno i grandi blockbuster più adulti, non ha premiato Top Gun: Maverick né ha mai premiato con i massimi onori Christopher Nolan. Ma ha amato, e molto, una storia che sembra la parodia dei film di supereroi, che racconta una trama di multiversi con effetti speciali poverissimi che funzionano bene, con inventiva e un’ironia rispetto a quello che poi in questi universi paralleli si trova. Un film in cui la protagonista è la parodia dei supereroi: una mamma proprietaria di lavanderia che a un certo punto si ritrova a fare arti marziali. Un film in cui i mondi fantastici esistono, ma intorno al buco di una ciambella. 

Il trionfo è tutto di A24, che dopo Moonlight è già al suo secondo Oscar e si conferma lo studio migliore per la situazione attuale del cinema americano, quella in cui i franchise prendono il box office ma il cinema indipendente è quello su cui vanno tutte le attenzioni cinefile. Ora che lo studio ha sancito il proprio essere una macchina da Oscar dovrà capire cosa fare, se continuare nella dimensione in cui è nato, piccolo e dedicato ai film indipendenti, oppure se crescere e passare a qualcos’altro. I film A24 sono raramente successi al box office (Everything Everywhere All At Once è l’eccezione, Moonlight era la regola), ma costano molto poco, fanno tanto parlare di sé e si vendono bene, la loro economia è solidissima e fondata sul gusto, sulla scelta di autori e storie. Qualcosa che i grandi detrattori del cinema contemporaneo non riconoscono, cioè che mai come ora il cinema americano più adulto è un cinema che si basa sul gusto e non sul calcolo economico, uno che pensa prima ai festival che al botteghino.

Swiss Army Man, il precedente dei Daniels sempre prodotto dalla A24, era stato un grande flop e un film molto brutto. Lo stesso non solo Everything Everywhere All At Once è stato fatto, ma con un budget molto più alto!

niente di nuovo sul fronte occidentale

La decentralizzazione degli Oscar

Ma c’è un’altra storia di gran valore dentro gli Oscar di quest’anno ed è quella di un nuovo film straniero che supera la concorrenza americana. Parasite, Roma, Belfast e ora Niente di nuovo sul fronte occidentale. È da The Artist (2012) che il cinema non americano guadagna terreno, guadagna nomination ed è sempre più presente. Accadeva già negli anni ‘50 e ‘60, poi ha smesso di accadere e adesso sembra tornato protagonista. Un film tedesco (ma di Netflix) batte Top Gun: Maverick. È un ulteriore segnale per Netflix che sono le sue produzioni internazionali la vera arma che manca alla concorrenza, quelle che costano meno (20 milioni di dollari contro i quasi 90 di 1917 di Sam Mendes) e possono rendere molto di più (al momento è quarto tra i film non in lingua inglese più visti di sempre su Netflix).

In anni come questi in cui gli Oscar sono una questione tra film dai budget contenuti, che non tengono più conto come prima del successo nelle sale e che sono più in cerca di cinema adulto rispetto a cinema popolare, le produzioni europee (ma forse anche quelle di nazioni più lontane come ha dimostrato la quasi storia Oscar di RRR) possono cominciare a pensare se stesse anche in quella chiave. non è ancora una garanzia, non è ancora un trend stabilito, ma se per anni gli americani hanno pensato i film per la Cina, forse noi possiamo iniziare a pensare i nostri film per l’America. O almeno per gli Oscar.

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