Abbiamo dedicato una particolare attenzione agli esordi italiani della Mostra di Venezia del 2023 per capire che idea di cinema del futuro veicoli il festival

Erano sei quest’anno gli esordi italiani presentati a Venezia. In tutte le sezioni. Uno in Orizzonti (Una sterminata domenica), uno in Orizzonti Extra (Felicità), uno alla Settimana della critica (About Last Year), due alle Giornate degli autori (Gli oceani sono i veri continenti e Con la grazia di un Dio) e uno in Biennale College (L’anno dell’uovo). Li abbiamo seguiti con l’idea di controllare, valorizzare, capire e sondare cosa accada nel cinema italiano e che idea del nuovo cinema italiano esprima il festival più importante del paese.

Il dato più interessante di tutti è la varietà, cioè il fatto che Venezia non abbia mostrato come in passato un’idea conservativa di cinema italiano ma sia sufficientemente ampia per accogliere tensioni diverse. A partire dal fenomeno maggiore degli ultimi anni: gli esordi “non giovani”, cioè quelli di persone già interne e già navigate nell’industria cinematografica, professionisti di altri comparti, che per la prima volta diventano registi. Quest’anno, sempre in linea con una crescente tendenza, è toccato a un attore e un’attrice: Alessandro Roia e Micaela Ramazzotti. C’è sempre una certa circospezione intorno all’esordio di un attore o un’attrice, perché hanno una loro notorietà che aiuta la promozione e spesso la scelta della produzione è proprio di puntare su quella notorietà più che su un’effettiva bontà del film. Nel caso di Felicità l’impressione è quella di un lavoro complementare alla carriera da attrice. Il personaggio su cui da sempre lavora Micaela Ramazzotti qui è esplorato alla radice, se ne raccontano le origini, i traumi e i legami che l’hanno resa quel che è. Con la grazia di un Dio invece è un’occasione per Roia di andare in un’altra direzione rispetto a quelle esplorate come attore.

felicità ramazzotti esordi venezia

C’è stato poi l’esordio di Tommaso Santambrogio, che ha frequentato la scuola di Werner Herzog e il corto da cui ha tratto questo lungo aveva la produzione e le musiche di Lav Diaz, che invece guarda più a nuovi linguaggi e ha fatto cinema di ricerca. Gli oceani sono i veri continenti, questo il titolo, è un film su Cuba ambientato a Cuba, cinema mondialista che non pensa alle sue radici italiane né al box office italiano ma concepisce se stesso al di fuori della nostra industria e dentro un sistema (e dei linguaggi!) che appartengono al cinema di tutto il mondo. Riuscito o non riuscito è un film non allineato, che racconta bene come esista un tronco grande di cinema italiano che non fa il cinema italiano ma si percepisce come cinema del mondo.

A metà strada invece si è posto L’anno dell’uovo, film sviluppato all’interno dell’incubatore della Mostra, cioè Biennale College, da Claudio Casale che aveva già girato intorno all’India nel 2020 con un suo lavoro in VR (presentato nella sezione VR Immersiva di Venezia di quell’anno). Inizia come un classico film italiano, uno cioè in cui le questioni di una coppia schiacciano l’intreccio, sostituendo alla potenza della scrittura la rappresentazione su schermo di sentimenti non per forza clamorosi o complicati o originali. Invece, sebbene molto tardi e con poca struttura, alla fine rivela un punto di vista diverso sullo spiritualismo e su due temi di cui il cinema abusa (la gravidanza e l’elaborazione di un lutto).

Come sempre c’è stata grande attenzione su “l’italiano della SIC”, cioè il film italiano presente nella selezione della Settimana della critica, che da statuto presenta solo esordi e ogni anno riserva un solo spazio per il cinema italiano, finendo per selezionare spesso bene (l’anno scorso fu la grande sorpresa Margini). Quest’anno era About Last Year di Dunja Lavecchia, Beatrice Surano e Morena Terranova, sulla Ballroom scene. Girato a Torino in un contesto che nessuno racconta, la ball culture, è forse l’esordio più fiacco. Perché al di là della bontà del girato, è quello che tra tutti sembra meno audace, sembra rischiare meno e andare invece sul sicuro, sia formalmente che dal punto di vista di come i suoi soggetti sono ripresi.

Al contrario Una sterminata domenica di Alain Parroni è probabilmente l’esordio che ci ha convinti di più e che ha riscosso più interesse in generale da chi l’ha visto (premio speciale della giuria di Orizzonti), è stata la rivelazione di questa Mostra. Parroni racconta una storia che è un canovaccio, puro pretesto narrativo per agitare tre ragazzi marginali a Roma. Ma né i ragazzi, né il loro mondo di provenienza e né Roma (la città più raccontata e rappresentata dal cinema italiano) somigliano anche solo da lontano a quello che si può immaginare. Una sterminata domenica, prima ancora di fare cinema dal montaggio (sonoro e visivo) elettrico, è un film che ha uno sguardo unico sulle cose e un mondo suo, che incrocia il cinema di gioventù non allineate con quello underground.

Come scrive Bianca Ferrari nella sua recensione: “Una sterminata domenica è erede del cinema dei Fratelli D’Innocenzo, ne riprende le grandi opposizioni (centralità-marginalità, religione-paganesimo), la voglia di amare il brutto, lo scomodo; Parroni però prende con forza e testardaggine la sua strada personale e con la voglia di giocare con i linguaggi e i dispositivi (gli smartphone, la pellicola, la memoria digitale e/o analogica) riflette sulla tensione di vita e di morte degli adolescenti di oggi, il loro modo di stare nel mondo, la loro voglia di essere e non di subire – immagini o educazione che sia”. E forse è la cosa migliore che sì possa chiedere di mettere in risalto sia a un esordio sia a un festival.

SPECIALE FESTIVAL DI VENEZIA

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